Io sono Ciril Zlobec, Poeta sloveno, scrittore, traduttore, saggista e molto altro per la mia età. Più di tutto, fu il movimento partigiano nella mia giovinezza che ha influenzato il resto della mia vita. Mi sono unito attivamente come combattente e coordinatore, nel movimento della resistenza per qualsiasi scopo nel mio campo di attività. Questo tempo ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione della mia personalità. Non vissi alcun dilemma quando mi confrontai con la scelta di aderire alla Resistenza armata contro il fascismo. Al contrario di molti in Slovenia centrale, non avevo dubbi se aderire o meno. Anche se a livello personale, certamente avevo molti dubbi. Ero andato a studiare prima della Seconda Guerra Mondiale. Era una mia grande ambizione quella di ricevere un'istruzione perché sentivo dentro di me, già prematuramente, l'inclinazione a scrivere. Ho anche scritto alcuni versi imbarazzanti. Sapevo che sarei potuto davvero diventare un poeta, nel vero senso del termine, con un'adeguata formazione.
La prima volta che sono entrato in un edificio scolastico si è palesato il mio primo contatto personale col fascismo. Avevo sei anni e l'insegnante esigeva che tutti i nuovi arrivati salutassero con il caratteristico saluto fascista a braccio alzato. Inconsciamente ho percepito subito la pressione di qualcosa di estraneo e odioso e non volevo alzare il braccio nel saluto fascista. All'insistenza dell'insegnante che dovevo salutare, una sorta di impetuosità infantile, una rabbia ostinata montò in me. Niente potrebbe farmi alzare il braccio. Alla fine, perché ha insistito, ho alzato il mio braccio, anche se con infantile vanità offensiva. L'insegnante mi sovrastava in piedi e mi diede un sonoro ceffone. Quello è stato il mio primo incontro con il fascismo. Ero un combattente di sei anni. Il mio secondo incontro fu circa due anni dopo, quando mio padre mi portò a Trieste. Ovviamente abbiamo camminato dalla mia città natale, 30 kilometri. Volevo vedere la città per la prima volta in vita mia. Sono rimasto affascinato dai palazzi triestini, sopratutto in via Carducci, la strada principale. Ho chiesto a mio padre di spiegarmi, che cosa fosse una cosa. In quel momento qualcuno che indossava un'uniforme fascista mi sputò in faccia e minacciò di colpirmi in faccia se avesse sentito un'altra parola così oscena. Anche se ero solo un bambino, questo è stato il momento in cui il fascismo è istintivamente emerso dentro di me in forma di identificazione: chiunque e ciascuno parlasse la lingua italiana era fascista. Quindi, l'inizio è stato piuttosto traumatico. Da un lato è stato ingiusto con me, personalmente, perché sono stato coinvolto nella persecuzione degli sloveni. Anche con la mia famiglia, anch'essa esposta a varie molestie dove viveva e lavorava.
Nel 1941 ero pronto. E non solo io. L'intera regione di Primorje era pronta a combattere il fascismo. Certo, l'antifascismo non era l'unica furia nel territorio sloveno. C'era anche il Movimento di Liberazione Nazionale. Gli sloveni nella regione slovena di Primorje percepirono una possibilità con il movimento di liberazione, durante la Seconda Guerra Mondiale. Siamo sempre stati fiduciosi, che le forze alleate avrebbero sconfitto il nazifascismo. Partecipando alla Resistenza ci siamo trovati difronte a un'opportunità storica unirsi al resto del territorio sloveno in una nuova forma di comunità. Poi ci sono stati i mormorii del Movimento partigiano nella regione di Primorje. Sempre indignato contro la politica fascista ovunque nelle profondità del sistema scolastico, lo riferii immediatamente agli attivisti. Volevo unirmi ai partigiani. Il mio primo contatto fu con l'unità operante nel Karst e nella valle di Vipava. Mi sono presentato alla fine del 1942. Mi hanno avvisato che l'inverno si stava avvicinando e che era inutile perché le foglie sarebbero cadute e camuffarsi sarebbe stato più difficile. Mi hanno detto di tornare in primavera e che allora sarebbero stati felici di avermi. Così sono tornato a casa. Chissà se era solo un segno del destino, ma nel febbraio 1943 l'esercito italiano trovò questo gruppo e li massacrò tutti. Ogni giovane partigiano. Poi hanno portato i cadaveri al cimitero di Stanjel e hanno forzato la gente del luogo a andare e vedere i partigiani morti. Volevano che avessimo l'impressione, che il movimento di Resistenza fosse finito. Ci hanno stipati in quel cimitero. Solo per dare un'impatto più forte hanno spogliato parzialmente i cadaveri e li hanno girati in vari modi, mostrando persino i loro genitali. Questo disonore al defunto per me fu un oltraggio, considerando la mia educazione classica direttamente dal seminario di teologia - che bisogna rispettare i morti in modo simile a come sono rispettati nelle fonti letterarie come Omero etc. Ho solo rinforzato la mia convinzione: alla prima occasione sarei andato, a qualunque costo, a trovare il prossimo gruppo formatosi, ah sì che l'avrei fatto, e mi sarei unito ai partigiani. Solo un mese dopo sono stato rinchiuso. Mi hanno buttato giù dal letto nel bel mezzo della notte. Mi caricarono su un camion e mi portarono via, con tutti gli altri giovani nati nel 1924, 1925 e 1926. Ci hanno portato in varie regioni in tutta Italia. Io fui mandato negli Abruzzi e avrei dovuto trascorrere tutto il tempo fino alla capitolazione dell'Italia. Ero circondato da ragazzi contadini, tutti un po' goffi con l'italiano, anche per semplici scopi di comunicazione e fui io a accompagnare e riportare l'intera unità nella regione di Primorje direttamente dai partigiani. Trecento giovani uomini.
La predisposizione all'antifascismo era nel nostro sangue. Sentendo le prime notizie che da qualche parte era sorta un'opposizione - soprattutto una volta che queste notizie arrivarono agli sloveni della regioine di Primorje, che apparteneva all'Italia - eravamo tutti automaticamente per il movimento partigiano. Non solo eravamo inclini a farlo, per l'appunto ne abbiamo fatto esperienza in modo estremamente ingenuo. Era una visione romantica dei Partigiani invincibili, gli stessi Partigiani che compaiono all'improvviso qua e la, in-catturabili! Erano i primi partigiani ai nostri occhi, secondo le nostre speranze e aspirazioni. Non erano conformi alla realtà. Già nel 1942 c'erano manifesti appesi in tutta la regione di Primorje, per l'arresto di un noto Partigiano dell'epoca, Janko Premrl - Vojko. Cadde più tardi in un'azione e fu designato un eroe nazionale. Fu offerta una taglia a chiunque lo consegnasse vivo o morto, alle autorità militari italiane. Nonostante l'ingente somma posta, specie per le condizioni dell'epoca, nessuno è stato tentato al tradimento o alla mediazione di informazioni, per portarlo all'arresto o alla mera identificazione del luogo in cui si trova o delle sue azioni. Vojko, cioè Janko Premrl, è diventato un eroe leggendario ai nostri occhi. Gli abbiamo attribuito varie azioni, che non aveva fatto, né avrebbe potuto fare. Abbiamo detto che era stato nello stesso momento a Venezia, Roma e in cima a Nanos - come un uomo dei miracoli. Anche se sapevamo che era impossibile, era quello di cui avevamo sete. All'inizio i Partigiani erano solo una piccola banda, ma abbiamo fatto della loro forza quella di un'intera truppa. Queste erano le trasognate visioni della Resistenza. Ma ovviamente l'antifascismo era già presente nella regione di Primorje da prima della guerra.
A un certo punto, ho vissuto una sorta di metamorfosi, come a Trieste quando il fascista mi ha sputato in faccia e ho identificato chiunque parlasse italiano come fascista. La popolazione civile mi ha portato a riconoscere che è ingiusto condannare o dichiarare un'intera popolazione solo per quel che è espresso dai suoi rappresentati politici, militari o di altro tipo. Ho incominciato a capire che gli italiani, non meno di noi, sono abbastanza disperati. Che ci sono quelli a cui sono vicino e quelli avversi, che sono miei nemici come io lo sono. Al nostro ritorno dal confinamento italiano, siamo andati tutti insieme in gruppi. Ricordo che il giorno in cui tornai da sei mesi di reclusione, mi lavai, mi cambiai e mi avviai per unirmi ai Partigiani. La mia famiglia voleva che restassi almeno un giorno intero. No. Non non vedevo l'ora. Per me unirmi ai Partigiani è stato come scoprire l'America. Volevo diventare un combattente attivo e non solo un simpatizzante. Lo stato d'animo dopo la caduta del fascismo - formalmente il 25 luglio e più tardi l'8 settembre - quando l'Italia aderì all'arresa incondizionata, e che è stato quando siamo arrivati dopo pochi giorni di viaggio dall'Abruzzo al Carso, l'atmosfera era già in pieno svolgimento. La gente si raccoglieva e applaudiva per la liberazione, convinta che la guerra fosse finita. Quindi i miei compagni e io, eravamo ansiosi e impazienti di cogliere il giorno in cui anche noi saremmo diventati combattenti, prima che la guerra finisse. Era una totale illusione che con la capitolazione dell'Italia, anche la Germania sarebbe caduta.
Ero così ansioso di scambiare dei colpi con il nemico. Ero in un battaglione equipaggiato con sole tre mitragliatrici e fucili, armato molto male. I tedeschi ci hanno circondato con i carri armati durante la notte. Era il loro potente esercito contro il nostro. Hanno aspettato fino al mattino per attaccare. Mi offrii subito per andare e altri tre uomini erano egualmente entusiasti di unirsi a me contro i carri armati tedeschi con bombe a mano. Immaginavamo che fosse solo questione di lanciare le granate e che avremmo ucciso i tedeschi e riduci tutto in rovina. I Partigiani più anziani ed esperti ci dissero di calmarci. Ci saranno molte più occasioni per combattere. Ci chiarirono che non è così semplice distruggere un carro armato. Non sono di carta, piuttosto di acciaio e anche i tedeschi non dormivano. Eravamo in cima a questa collina. C'era anche un po' di foresta intorno. I tedeschi si sono avvicinati in una densa fila di 'tiratori' seguiti da un allineamento di carri armati, avanzando lentamente nella retrovia. Dunque riconoscemmo l'orrore. Eravamo tutti novellini, era il nostro primo scontro, eccetto per alcuni quadri al comando. Sulla base dei miei quattro gradi di scuola superiore, sono stato subito nominato Commissario Politico di un'unità; senza alcuna precedente esperienza di combattimento. Dovevo prendermi cura dei miei uomini. Avevamo questi rifugi o fortini in pietra. Durante un combattimento dovevamo ripararci dietro ai rifugi. Il comando era di restare buoni e calmi e di aspettare fino a quando il comandante non gridasse la carica ('juris'). Dovevamo attendere che il nemico si avvicinasse entro i 20 metri e poi ogni uomo doveva scegliere il proprio bersaglio nemico. Avremmo caricato tutti insieme. Poi è successo qualcosa di inaspettato. Dei 300 uomini dalla nostra parte il nemico si aspettava che almeno 100 morissero. Ma quando i tedeschi si avvicinarono, non a 20 metri ma piuttosto a 40 metri, il tizio dietro la mitragliatrice ha iniziato a sparare con la mitragliatrice troppo presto. Abbiamo caricato tutti in quel momento, tutti frenetici, tutti in fretta. Eravamo all'improvviso dentro le linee tedesche, ben organizzate nella logica di un attacco militare. I 300 giovani hanno accusato e causato tale caos che i tedeschi erano così sorpresi che non spararono nemmeno. Se avessero sparato a noi avrebbero sparato anche ai loro, perché eravamo tra loro. Abbiamo sfondato le loro linee senza combattere. Invece di cento morti tra i nostri, solo due caddero, due sono stati feriti e uno è stato fatto prigioniero.
In quel momento e in quel luogo lo stato d'animo era perfettamente idilliaco: la responsabilità, non solo nei confronti del proprio comportamento, ma anche nei confronti dei propri compagni. Se un compagno era ferito, lo avresti soccorso. Anche se cadesse, prenderesti il suo corpo per non lasciarlo profanare dal nemico. Era una questione d'onore; non avresti esitato a rischiare la tua stessa vita. Una volta ho trascinato un compagno ferito a morte per quasi tre chilometri. Per fortuna i tedeschi sapevano che c'era una brigata partigiana da qualche parte nelle vicinanze, così hanno scelto di non darmi direttamente la caccia ma di seguirmi attraverso la linea di tiro. Quella volta ero quasi certo che sarei morto anch'io. L'onore prevaleva sulle questioni di sopravvivenza personale in quei momenti. Fu un anno dopo quando l'esercito mi ha 'prestato' alla società civile, per aiutarea organizzare la Scuola Partigiana slovena in tutto il territorio di Primorje. Ho sempre collaborato nel Carso. Poi sono tornato ancora una volta all'unità. Ero molto attivo nelle questioni culturali: scrivevo canzoni, recitavo alle adunanze. Le brigate prendevano i nomi di poeti, io ero nella brigata Kosovel. C'erano anche il battaglione Gregorcic e la brigata Levstik. Cultura e combattimento erano amalgamati a quel tempo. Avevo fondato suole, insegnato, preside del distretto e non so che altro, tutto ciò che era necessario, Avevo recitato le mie poesie in molte riunioni... Era il 1944 e eravamo sicuri che la guerra sarebbe finita quasi il giorno dopo. Sono stato richiamato di nuovo nelle forze armate. Mi hanno messo tra i minatori. Una volta sono andato con un collega a scavare un tracciato tra Gorica e Trieste. Siamo caduti direttamente nell'occupazione tedesca vicino a Doberdob. In qualche modo, e per me è ancora incredibile, siamo rimasti vivi. Posso solo immaginare come quel gruppo di tedeschi ci abbia sorpassato. Forse non volevano ucciderci, visto che eravamo a dieci metri da loro. Non ci hanno nemmeno picchiato. Il comandante convocò in seguito una riunione dell'unità e disse: Vedete? Ciril è quasi caduto oggi. È una specie di miracolo che sia ancora vivo. Eravamo tutti sbalorditi, soprattutto io. Ha detto: quando la situazione si fa pericolosa, Ciril non entra più in azione. Scrive poesie. Dovevo plasmare parole slovene, quando era ufficialmente vietato usare la lingua slovena e quando appena due anni prima ero stato espulso dalla scuola per avere usato parole slovene. Questi uomini hanno tributato rispetto alla parola letteraria slovena, alla canzone, Gregorcic, Presern... Si recitava costantemente e tutti noi portavamo libri in miniatura di Presern e Gregorcic. Erano tutti troppo pronti a proteggermi e tenermi in salvo, mentre entravano in azione. La metà di loro era già caduta entro un anno. Erano consapevolmente preparati a rischiare la vita per proteggermi. Cadevano, mentre io il poeta, e non ero un gran poeta allora, scrivevo solo poesie. Tale cameratismo, tale etica come li ho sperimentati allora... Intendiamoci, ho menzionato un mero esempio... non mi sono mai imbattuto di nuovo in questo modo, né mai prima d'ora. Così, durante i veri combattimenti, l'etica partigiana era al suo apice eroico; erano puri. Cose sono successe dopo la guerra. Una volta che tutto tutto è finito, quando finalmente senti che tutto il male è passato e finito, è allora che affiorano passioni umane incontrollabili; e naturalmente già i primi calcoli politici, gli accordi e tutto il male. Ecco perché io, mentre la storia viene rivista, dico sempre che è stata una lotta pulita e pura per la liberazione. Sopratutto con gli sloveni, al contrario dei francesi, dei cechi o di chiunque altro, chi ha lottato per l'unione degli sloveni in una comunità. Era puro e etico. Successivamente è iniziata la passione. Quando qualcuno mette armi nelle loro mani e si ritengono anche in possesso del potere di decidere chi è il nemico e su chi vendicarsi. Naturalmente poi accadono cose che gettano un'ombra anche su quei pochi ideali e sugli aspetti idealistici dell'antifascismo, in tutto ciò che è accaduto tra il 1941 e il 1945.
Nei due anni in cui sono stato con i Partigiani, sono stato più volte vicino alla morte. In qualche modo ho dovuto abituarmi alla morte per diventare parte della vita Partigiana. Per ogni combattimento c'era il successo o il fallimento dell'incontro. Tutto era quasi esclusivamente determinato dal numero di morti. Se combatti con i tedeschi e pensi che cinque partigiani sono caduti, devi esser soddisfatto nel risultato dell'incontro. Dovevamo convincerci, indipendentemente da quanto fosse vero, che avevamo perso cinque Partigiani mentre il nemico ne aveva persi venti. Avevi così l'impressione che la morte che ha inghiottito i tuoi colleghi non è stata vana. Era piuttosto un mini contributo alla liberazione e persecuzione del nemico occupante, alla libertà e a tutto ciò che immaginavamo ci sarebbe stato dopo la fine della guerra. Io stesso sono stato fortunato. Ero un informatore, i tedeschi mi hanno beccato tre volte e tre volte mi hanno lasciato andare; tutto perché ho indossato questo... Io sono agnostico. Non sono un uomo credente. Ma mia madre era molto religiosa. Quando mi sono unito ai partigiani mi ha detto: Figliolo, so che non preghi, ma... ecco, prendi questo piccolo rosario. E me l'ha messo in tasca. Era una contadina. Per rispetto a mia madre portavo sempre quel rosario in tasca. Quando i tedeschi mi catturarono per la prima volta mi perquisirono e svuotarono le tasche, tirarono fuori il mio rosario. Avevano l'abitudine di credere che tutti i Partigiani uccidano preti e brucino chiese. Sicuramente si sorpresero di trovare un Partigiano con un rosario in tasca. Inoltre, coincideva con le mie carte contraffatte, che affermavano che stavo ancora studiando al seminario teologico. Una volta sono caduto tra le posizioni tedesche in strada. Sono stato perquisito, hanno controllato i miei documenti. Non avevo soldi con me. Lui mi disse: cosa ci fai qui? Ero nei pressi di Opatje selo. In viaggio per Doberdob. Dissi che andavo al seminario presso Gorica. Dissero: è il bel mezzo dell'anno scolastico, dunque che cosa ci fai qui? Dissi che ero un po' malato ai polmoni e che ero stato mandato a casa per riprendermi e adesso stavo ritornando. Stavo andando in bicicletta. Pensavo che non ci fossero tedeschi in giro così potevo pedalare sulla strada. E il soldato: Sì, sì, sì... e che cosa farai senza soldi? Ho spiegato che registriamo le nostre quote in un biglietto e che paghiamo il saldo alla fine dell'anno. Era insospettito da me. Non riusciva a capire come fregarmi. Dopo aver sfogliato le mie carte finalmente tira fuori una foto del mio primo amore, Elvira di Stanjel. 'Persempre tua Elvira' c'era scritto sul retro. Conosceva un pò di sloveno e mi disse: Traduci questo per me. Per quel poco di sloveno che sapeva, si sentì poi vittorioso, sbuffò: Adesso ti ho beccato. Dunque questo è un seminario teologico? E tu sei un prete?! Ho abbassato la testa e ho detto: Cosa posso dire, la giovinezza è la giovinezza. Ero pentito, come a dire che avevo disobbedito alle regole del seminario. Mi ha guardato e poi ha detto: È una storia piuttosto inverosimile che hai raccontato, eh? L'ho guardato dritto negli occhi e gli ho detto: È così difficile discernere quando qualcuno sta dicendo una bugia o la verità? Lo stavo guardando dritto in faccia, ma grondavo sudore per la paura e il terrore. Mi ha detto di andare. Probabilmente non avrei mai potuto dissimulare in quel modo senza i quattro anni di liceo. Ero un po' al di sopra del livello a cui erano abituati loro incontrando un combattente regolare. Un ragazzo di campagna sarebbe rimasto a guardare con orrore solo dopo essere stato catturato. Una volta scoperta l'efficacia del rosario, sono stato più che felice di continuare a portarlo. Ho raccontato questa storia altre due volte e ha sempre funzionato. ...Quelli erano ragazzini; stavano ancora imparando a leggere. Avevo un rifugio nascosto a scuola. Una tavola che si sollevava e io potevo nascondermici sotto. Una donna sarebbe corsa dal villaggio, con la scusa di essere un'insegnante. Tutti gli uomini della mia età erano o con i Partigiani o nei campi. Non c'era quasi nessuno, tranne se i genitori erano così malati che qualcuno doveva prendersi cura di loro. All'improvviso questo tedesco appare alla finestra. Erano venuti dall'altra parte, non dal villaggio. In realtà l'unità ha attraversato il villaggio, tutte tranne questa tedesca. Presumo che avesse il compito di controllare la casa isolata, che era la scuola. Si appoggiò al davanzale della finestra - era primavera dunque era aperto - sul suo mitra, guardando nell'aula. Il mio sangue si è congelato. Ammetto che all'inizio mi è venuto in mente che sarebbe finita in tragedia: questi poveri bambini sarebbero stati vittime. Io stesso lo avrei trovato perfettamente logico. I bambini avevano già assistito all'incendio del loro villaggio. Cominciarono tutti a urlare e a piangere come matti. Era stato sempre detto che nel pericoloso caso di arrivo dei tedeschi, la tavola sotto cui nascondersi doveva essere sollevata. Così un bambino si è lanciato alla carica per sollevare l'asse dove avrei dovuto nascondermi. Lo premetti di nuovo velocemente e presi un manuale Partigiano che avevamo compilato. Sebbene questi bambini fossero molto piccoli, ho semplicemente aperto il libro e ho detto loro di aprire i loro libri sulla stessa pagina. Il testo era di Ivan Cankars, 'La tazza di caffè'. Era adatto di certo ai livelli più alti. Ho detto al migliore di leggere, ma disse qualche parola e iniziò a piangere. Il tedesco continuava a guardare e guardare. Anch'io ho guardato ai bambini e ho cercato di calmarli ma non ci sono riuscito. Ero sicuro che eravamo giunti alla fine. Ero lì e guardavo dritto negli occhi dei tedeschi. Gli ho mostrato questi bambini, gli ho indicato la loro tristezza. Ha lasciato la finestra. Pensavo che sarebbe sicuro tornato e sarebbe entrato dall'altra parte. O che era andato a fare rapporto alla sua unità per farli venire e finirci. Ma non si è mai fatto vivo, né altri tedeschi. Il silenzio era simile alla morte. Un quarto d'ora dopo i tedeschi si ritirarono dal villaggio e tutte le donne, tutte le madri accorsero. L'orrore che ha imperversato era oltre le parole. Le madri erano sicure che tutti noi nella scuola eravamo stati massacrati. Ma vennero per trovarci invece vivi e in salute. A quanto pare quel tedesco ebbe pietà di quei bambini. In quel mattino presto i tedeschi avevano ucciso i feriti. Dover massacrare anche i bambini, forse, sarebbe stato troppo anche per lui. Quindi anche tra i nemici, che indossavano le mostrine SS, c'erano alcuni che non erano bestie brutali. C'erano quelli che furono trascinati dalla corrente dei tempi e uccisero semplicemente perché era così.
Mentre attendevamo la svolta, molti ragazzi sotto la mia guida piansero di paura. Era uno spettacolo orribile. Gli stessi ragazzi di 17, 18 o 20 anni al massimo, entro sei mesi si sono offerti per azioni pericolose e attacchi. Quando un uomo è armato, quando assiste alla morte dei suoi colleghi, dei suoi amici, anche dei suoi vicini nello stesso villaggio, una passione omicida lo travolge. Quando combatti, presto o tardi prevale la logica che la morte del tuo nemico è la tua salvezza. Forse oggi, che riguardo indietro a me stesso come un uomo che si considerava un poeta, io ero un grandissimo individualista. Certo, in una guerra le unità sono sotto stretta disciplina, tutto organizzato secondo una struttura militare necessaria per condurre in un qualsivoglia tipo di combattimento. Non faceva affatto per me però; non si adattava al mio carattere. C'era un altro aspetto del carattere umano. Anche all'aperto, ovunque potessimo schiacciare un pisolino, mi è sempre piaciuto dormire un po', sono un po' prigro al mattino. Quando ero nella brigata, di solito marciavamo di notte. Abbiamo camminato tutta la notte solo per spostarci un po' più in la, per esempio dal Carso al Trnovski gozd attraverso la valle del Vipava, dove c'erano le imboscate e gli avamposti. Ho spesso pensato che queste azioni fossero pericolose o semplicemente troppo faticose. Quindi mi sono spesso offerto volontario per vari nuovi compiti che potessero spuntare in una battaglia. Erano i più pericolosi, ma almeno potevo canalizzare il mio individualismo in questo modo. Così sono diventato un informatore. Avrei viaggiato fino a Trieste solo con documenti falsi. Era molto rischioso ma sentivo che la mia vita era a mia disposizione. Dopo fui coi minatori. Era solo una piccola unità, forse eravamo 13 o 15. Era facile da comandare. Un anno ho lavorato nel sistema educativo per organizzare il sistema scolastico e nominare insegnanti che perfino non esistevano. Ero solo a nominare questi insegnanti e senza scuole slovene. Ho deciso di convocare una riunione con tutte le donne rimaste da sole a casa in modo da poterle designare con la dettatura di un testo. Avevo una certa conoscenza dello sloveno e ho esaminato i risultati e ho deciso che colei che avesse fatto il minor numero di errori sarebbe stata l'insegnante. I bambini avevano bisogno di qualcuno che desse loro almeno le basi della lingua e un po' di matematica e di lettura. Non potevano semplicemente affrontare la guerra senza alcuna istruzione... Il sistema scolastico ufficiale si era disintegrato. Quindi è stato necessario creare una scuola slovena. Le cose erano più facili per me mentre lavoravo nel sistema scolastico. Anche se per molto tempo mi sono sentito un informatore. A 18 anni mi sforzavo di essere un grande informatore, come tutti quei personaggi di cui avevo letto, Sherlock Holmes per esempio, e ho immaginato tutti i miracoli che avrei fatto. Ho fatto alcune cose audaci, perfino stupide, ma almeno hanno funzionato. Ad esempio, se potevo, dormivo in un letto. Arrivavo in un villaggio e mi offrivano un letto. Io avrei rischiato. I tedeschi sarebbero venuti di notte e quello era un problema: dove e come nascondersi. Ho sempre avuto un mini nascondiglio da qualche parte dove riparare. Ho agito sempre contro ogni regola, piuttosto secondo il mio istinto. Una volta ero nel mio villaggio natale e di notte all'improvviso arrivarono i tedeschi. Per fortuna era buio pesto e si aggiravano con le torce. Ero sul punto di tornarmene a casa, a casa mia e cosa dovevo fare? Stavano per ispezionare le case. E io ho un'idea. Ho pensato che fosse più saggio seguire la pattuglia per vedere dove stavano andando. Così li ho seguiti a pochi metri di distanza, attraverso l'intero villaggio. Stavo attento a come camminavo per non essere troppo rumoroso. Era completamente buio ma non avevo bisogno di una torcia. Potevo muovermi indipendentemente o in piccole unità, organizzando in anticipo ciò che avremmo fatto. Ero anche un corriere. Viaggiavamo sempre in coppia. Non ero del tutto consapevole di quanto fosse pericoloso. Questo era per me un grosso vantaggio. Allo stesso tempo aumentava il fattore pericolo, ma le cose hanno funzionato. Molti uomini sciocchi quanto me, caddero. Mi resta un'idea quasi romantica del combattimento, come se fosse un periodo romantico. Che ovviamente non lo era; ben lontano da ciò. Allo stesso tempo ci stavamo anche innamorando. Ero disposto a camminare tutta la notte solo per vedere la mia amata da lontano. In breve, abbiamo vissuto intensamente nello stato di guerra. Bisognava stare attenti. Ci sarebbe stato un raduno e avremmo ballato e ci saremmo scatenati e poi avremmo litigato il giorno dopo. Questa è diventata la norma della nostra vita, abbiamo imparato a contare su di essa. È stato tutto più semplice nella regione di Primorje, nel Carso specialmente. Ovunque fossi giunto, qualcuno ha immediatamente dato la sua mucca al macello in modo che l'intera brigata potesse banchettare col gulasch. Quando viaggiavo come corriere, venivo sempre sfamato. Se ero bagnato venivo asciugato indipendentemente dalla casa in cui entravo. Quantunque fossi solo, ovunque e in ogni dove sentivi di appartenere a un insieme. Non c'é mai stato il pericolo che avessi preso una svolta sbagliata nella casa sbagliata. Tutti erano inclini ai Partigiani. Questo ci ha sollevato dai timori sorti altrove in tutta la Slovenia, dove si doveva considerare un potenziale tradimento della gente del posto. Cioè, altrove, la Guardia Nazionale e i suoi informatori erano in agguato. Non c'era niente di tutto questo nell'area di Primorje. Non ho mai incontrato un solo nemico sloveno vivo o morto. Così mi rendo conto di avere una concezione un po' idealizzata. Tuttavia, era genuina, l'idealizzazione che una guerra potesse dispiegare un'umanità così bella, se così posso dire, perché la guerra è tutt'altro che bella. È vero però che come poeta era difficile per me scegliere la morte, anche quella del nemico. Questo è anche il motivo per cui ho scelto compiti, che erano molto più pericolosi dell'essere in brigata. Tuttavia, nei compiti che sceglievo era meno imperativo dover uccidere qualcuno in piedi davanti a me, persino il nemico. Ho sempre cercato di vivere la mia vita con la minore morte e possibile, anche nei confronti dei tedeschi. Uccidere, anche in nome di grandi ideali, alla fine ti tornerà in mente in seguito sotto forma di trauma.
Parlando delle circostanze della Seconda Guerra Mondiale, spesso ci dimentichiamo che l'area slovena era l'unica area dell'Europa occupata in cui si pensava che l'occupazione fosse solo un primo atto. La Slovenia era divisa. Lubiana è stata la centesima provincia italiana. La mano destra dell'Italia, con il vescovo Rozman alla guida, che ha inviato una lettera di ringraziamento a Mussolini per aver accettato questa 'grande famiglia' nell'Italia fascista. Tutti gli altri paesi in questa regione... I croati avevano una sorta di paese, fascista, satellite, ma il loro diritto a una forma propria era quantomeno riconosciuto. I serbi avevano il loro erede alla corona e quindi il Regno di Serbia. La Slovacchia era un protettorato. E la Slovenia era divisa tra gli occupanti, il che significa che gli italiani... Hitler venne a Maribor e disse: che questa terra sia resa di nuovo tedesca per me, gli ungheresi presero il Prekmurje. C'erano alcuni villaggi a Bela krajina che perfino i Croati usurparono. Siamo stati obbligati a costituirci come nazione e come paese; nessuno ci ha riconosciuto. Solo combattendo determinati fortemente abbiamo costretto i nostri alleati a capire che un popolo vive qui, una nazione con una propria lingua e una propria cultura e tradizione. Ecco perché il significato di questa lotta era così essenziale e vitale. Se non ci fosse stato alcun movimento Partigiano, il Primorje oggi non sarebbe più una parte della Slovenia.
Volevano tenermi nell'esercito alla fine della guerra. Avevo una sorta di rango Partigiano, qualcosa come un sottotenente, ma non avevo alcuna intenzione di costruirmi una carriera da militare. Io ho abbandonato l'esercito nel settembre del 1945. Volevo studiare e credevo di lottare anche per quello, per la mia libertà personale, per il diritto di decidere da solo cosa avrei fatto. Non volevo che qualcun altro decidesse per me. Volevo studiare lo sloveno; siccome non avevo mai frequentato scuole slovene, la mia conoscenza della lingua era carente e io ero un poeta. Tutto questo è stato ridetto molto più duramente, ma hanno capito. Non ci sono state accuse a mio carico. Avevo disertato in settembre e era dicembre quando ricevetti il mio certificato di congedo. Per tre mesi ero stato de facto e avrei potuto benissimo essere accusato di diserzione davanti a un tribunale militare. Era un'altra delle mie folli manovre che aveva semplicemente funzionato bene. Avevo capito questo mio forte desiderio di studiare e hanno chiuso un occhio sul fatto che avevo infranto la legge, che avevo abbandonato l'unità senza il permesso di nessuno. Me ne andai. La nostra unità era la brigata Gubcev con sede a Postumia. L'ho testato ogni giorno: devo andare a studiare, lascia stare, abbiamo altre preoccupazioni e tu sai quanto sei prezioso per noi. Sono stato subito nominato per alcune medaglie, ma non mi sono fermato. Una volta il comandante perse finalmente la pazienza e disse: sono stufo di te! Basta, esci dalla mia vista! Intendeva solo di uscire dalla sua stanza del quartier generale, ma ho fato il finto tonto e ho detto: Ok, ok, vado all'inferno! E sono andato direttamente alla stazione di Postumia e sono salito sul primo treno. Le relazioni allora erano molto più umane. Ha capito che non avevo davvero disertato, ma piuttosto che ero andato a studiare. E potevo permettermelo anch'io, perché sentivo davvero che era un mio diritto. Ho sempre sostenuto quasi filosoficamente, che nessuna società è ben adatta se i suoi individui non sono contenti in ciò per cui sono adatti.
Ciril Zlobec (1925 - 2018)
Resistenza
1941 - 1945: Ponikve (Croazia)
Armed Resistance, Unarmed Resistance, Partisan
gruppi di resistenza
Liberation Front of the Slovene Nation, Special Unit
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Original interview language (Slovenian)
English translation