Beggi Pierino, nome di battaglia “Gigi”. Nato a Reggio Emilia. Beh la maggior parte, fino a vent’anni ho vissuto dove attualmente c’è la Biasola, là al parco, al parco diciamo locale lì c’era il podere che c’era mio papà che faceva il contadino, l’agricoltore. Noi eravamo i figli che siamo cresciuti lavorando con lui. Poi a venti anni siamo stati chiamati alle armi... eh... a quei tempi. Abbiamo fatto tre anni, io ho fatto tre anni nel Genio a Torino, poi ci siamo trasferiti, ci hanno trasferiti a Bardonecchia e siamo rimasti lì per tre anni. L’8 settembre siamo stati... eh diciamo... prima di partire c’era arrivato l’ordine dal generale Vercellino di minare la galleria del Frejus perché i tedeschi venivano dentro con i carriarmati e... il treno merci con tutto l’equipaggio. Abbiamo portato dentro, allora dicevano 14 quintali di esplosivo da far saltare la galleria del Frejus. Infatti è stata fatta saltare. Ma loro entravano dalla strada varcando le montagne e sparando. Di lì è arrivato l’ordine di scappare verso Torino e siamo andati, cento chilometri e siamo arrivati a Torino, a piedi, attraverso le campagne. Ma però a Torino eravamo circondati dai tedeschi perché loro erano entrati dalla strada e avevano già camminati con gli automezzi ed erano arrivati a Torino. E di lì la buona parte ci hanno fatto prigionieri e ci hanno fatto salire sul treno merci e ci mettevano una settantina ogni carro merce, che avevano scaricato del bestiame prima, c’era la paglia e così... settanta ogni... in attesa di partire, che poi siamo andati... siamo andati sulla ferrovia e ci hanno portato... dicevano che andavamo in Germania. Lì è successo che a Codoglio di Piacenza si è fermato il treno, perché era un treno a carbone eh... cioè non era elettrico... un treno... allora erano quasi tutti a vapore, a carbone. Lì il treno si è fermato perché aspettava la coincidenza di un altro treno che veniva dall’opposto. E lì siamo stati fermi un bel pochino. E nel mentre dato che eravamo tanti ogni vagone, c’era caldo non c’era aria che circolava, qualcuno sveniva... allora hanno aperto i portoni scorrevoli, due palmi non di più, per aver la possibilità di respirare. In quel tempo lì i tedeschi erano quattro, noi eravamo più di quattromila, sul treno. E... mentre loro camminavano avanti e indietro vicino al treno, sempre con la maxi pistola a tracolla io avevo, avevamo uno zainetto a dietro noi, avevamo preso un po’ di roba prima di scappare e avevo la gavetta dove si mangiava, ci ho chiesto al tedesco, perché c’era una fontanina lì in stazione e noi era due giorni che non si beveva. Forse non è stato il coraggio di scappare ma è stata la sete e la disperazione. E ci ho chiesto se mi lasciava prendere una gavetta d’acqua e lui: “Ja, ja, ja”, e allora son sceso dal treno e sono andato. Nel mentre lui ha raggiunto l’altro collega che era più avanti, ci ha spezzettato un pezzetto di cocomero che mangiava e io ho buttato via la gavetta e poi sono scappato come un razzo. Ero magro... ventitrè anni. Son scappato e lui ha tirato fuori la maxi pistola e mi ha sparato a dietro. Ma dietro di me quando sono scappato mi ha inseguito un altro, un amico, uno del Genio, anche lui militare soldato e lui ha preso una scoppiettata nelle cosce ed è andato a cavalcioni nella rotaia del treno.
Noi eravamo ... perché i GAP erano organizzati in non più di tre. Cioè tre sapevano dei tre e non oltre allo scopo che se venivano presi... purtroppo si sapeva che a Villa Cucchi torturavano, come hanno torturato Paolo Davoli, come hanno torturato la Tina di Cavriago, la Rosellina eh... purtroppo si sapeva e allora si creavano e i GAP avevano preso questo provvedimento di non, cioè... Zanti, Maurizio nome di battaglia, aveva organizzato nel senso di non fare gruppi oltre, non oltre il gruppetto di tre. Poi con l’andare del tempo si formavano, ci si riuniva e si facevano le azioni combinate. Gruppi Armati Partigiani che non hanno niente a che fare perché non erano tutti comunisti, io lo ero nel senso, il gruppetto era, eravamo tutti compagni...
La prima azione eh... andiamo indietro perché abbiamo disarmato i due tedeschi che erano sulla ferrovia, sul ponte ferroviario della via Emilia. Erano in due, che erano giovanissimi, due ragazzi. E con Fiorello siamo andati, Fiorello aveva la pistola perché era scappato da carabiniere dalla Jugoslavia, e io una di legno fatta uguale, l’aveva fatta lui. E in bicicletta di sorpresa siamo arrivati dietro a quei due lì, ci abbiamo puntato la rivoltella nel collo, hanno alzato le mani e abbiamo preso pistole con il P38 e ci sentivamo... armati. La riunione con i fratelli Cervi l’abbiamo fatta in mezzo i campi che si parlava che loro volevano andare in montagna perché temevano e infatti... La casa su era un po’ diciamo una casa di latitanza nel senso che ospitavano un po’, forse un po’ troppa troppa gente, anche gli stranieri che scappavano, soldati stranieri che insomma... stranieri che non conoscevano magari e che poteva esserci dentro una spia. Sono stati in montagna poi sono tornati giù loro. Sono tornati giù, hanno aperto un po’ troppo le porte ed è successo quello che è successo purtroppo.
Un'altra grande azione che abbiamo fatto, abbiamo preso il maggiore Battaglia, se lo ricordate, al Casinaccio, a San Bartolomeo a Villa Bresci. Lui era, avevano requisito lì e andava a dormire lì, comandante della GNR, il maggiore. E abbiamo studiato e abbiamo pensato perché il Muso lo avevano preso a San Polo, in un rastrellamento a San Polo sono arrivate delle squadre della brigata nera e hanno preso una ventina di ragazzi giovani da mandare in Germania e il Muso l’hanno trovato armato, ci hanno trovato la pistola addosso e l’hanno portato a... in San Tommaso in attesa di fucilarlo assieme ai fratelli Cervi. Abbiamo preso il maggiore Battaglia e lo abbiamo portato al comando piazza in montagna. Che c’era poi, il comando piazza era formato poi da tutti i partiti, c’era il professor Marconi, c’era Eros, c’era Cocconi, c’erano tutti e abbiamo mandato una staffetta al podestà Rabotti allora, professor Rabotti, di fare il cambio con il Muso, perché noi il giorno prima avevamo bloccato il maggiore Battaglia. Ma il comando tedesco non ha dato il nullaosta, ha detto no, ha detto di no che non era possibile perché quel vicecomandante lì trovato armato era da fucilare. Ci siamo riuniti, abbiamo discusso il problema purtroppo che non era possibile fare il cambio, abbiamo studiato e pensato di prendere uno dei suoi di tedeschi. E tramite Giorgio dei GAP di Cavriago che era il comandante siamo riusciti a sapere che c’era un capitano delle SS che con una Moto Guzzi andava a trovare una donna a Cavriago e più o meno era l’orario sotto sera che andava con la Guzzi a trovare ‘sta donna. E ho detto: “Ragazzi prendiamo quello lì e vedrai che cambia la cosa”. E ci siamo appostati in un cespuglio sulla strada di giorno per non farci vedere anche dai contadini che lavoravano in campagna. Ci siamo nascosti lì e infatti la moto è là che viene, siamo saltati in mezzo alla strada con il mitra puntato. Lui ha inchiodato la moto ha frenato e ha tentato di prendere la pistola, è riuscita a tirarla fuori, Fiorello ci ha tirato una sventola con il mitra e ce l’ha buttata per terra. Lo abbiamo preso, Fiorello ha preso la moto ed è partito e noi abbiamo portato questo qui in una ghiacciaia, perché ai tempi antichi c’erano le famose ghiacciaie che mettevano la neve, facevano dei buchi sotto terra, li foderavano con... con... mattoni, facevano delle massicciate e lì nascondevano la neve perché la usavano nei caseifici... perché non c’era ghiaccio. Lo abbiamo portato lì e alla sera siamo partiti con questo capitano bendato delle SS, disarmato naturalmente e lo abbiamo portato in montagna. Abbiamo mandato la staffetta dal podestà di avvisare il comando tedesco che il capitano pinco pallino, che avevamo anche il documento, era da noi. In giornata è stato fatto il cambio.
Quando abbiamo saputo che portavano i buoi al raduno a Cavriago e li portavano in Germania, noi abbiamo dato l’assalto una notte con i SAP e i GAP, tutti i partigiani della resistenza e abbiamo, ci siamo organizzati tramite i due paratori quelli che li portavano al raduno e siamo andati fino in montagna a portarli, centodieci buoi. E’ stata una cosa... Grande. Grande perché è stato un sacrificio enorme. La strada del Rubbianino allora c’erano due siepi alte tre metri poi di biancospino ed era tutto scuro e si andava così come era possibile. E il problema era cominciare a viaggiare su questi buoi, perché è una cosa molto... l’abbiamo curata nel senso che questi paratori qua che portavano lì i buoi ci hanno insegnato, dice ne leghiamo quattro per le corna con la fune, quelli che avevano la coppa grossa che avevano lavorato, che avevano portato il giogo, e dice li mettiamo davanti e lasciamo andare tutti gli altri e partiamo. Siamo arrivati fino a Cerredolo dei Coppi. I sentieri cosiddetti partigiani erano conosciuti più delle strade. E siamo arrivati a Cerredolo dei Coppi con tutti i buoi, che poi lì era il problema portare un mucchio di bestie così, era un problema. E c’era anche mio fratello, l’intendenza di finanza, lo chiamavano intendenza per il mangiare, i vestiti... E lì abbiamo discusso un pochino dei buoi come metterli, e li abbiamo dislocati due o tre buoi in ogni casa di contadini. Ai contadini gli sono serviti molto ad arare il terreno, perché il petrolio era requisito dai tedeschi, la benzina, non era possibile arare il terreno con i trattori e usavano questi buoi. Però ogni tanto qualcuno... eh... c’era da mangiare, perché in montagna macellavano un bue poi dopo veniva distribuito dal personale addetto a dislocare.
Le scuole di Codemondo erano occupate da 400 avieri della Caprogni di Reggio Emilia Campovolo, perché i tedeschi facevano sfollare, cioè tutto l’equipaggio dei collaudatori, anche la Caprogni da Milano si era portata a Reggio Emilia, che Reggio Emilia era diventata un centro dell’aviazione. E i soldati, gli avieri, erano soldati, li facevano alloggiare, a dormire venivano a Codemondo nelle scuole, li avevano requisiti. E noi abbiamo studiato il piano, dico beh lì noi si mandava su dei compagni, dei partigiani, ma le armi scarseggiavano... non si era ancora organizzati dai paracadutisti da portare non era ancora, i lanci non li avevano ancora fatti. E abbiamo studiato il piano lì di sorprendere la sentinella, perché giorno e notte girava intorno alle scuole la guardia, di bloccarla e di non trattarla male perché era un soldato non era... E infatti lo scopo era di bloccare la sentinella, andare dentro in quattro, in cinque, e andare nei cameroni che c’erano dei cameroni, puntare le armi: fermi tutti! Non spariamo state fermi che prendiamo solo le armi e partigiani di passaggio e la solita storia. Fuori però avevamo quattro o cinque squadre di SAP, per portare via la roba, gli scarponi eccetera, era un bel po’. Abbiamo aperto anche la cassaforte dove c’erano dei documenti importanti da portare su in montagna e da farli vedere ai competenti che conoscevano un po’ il tedesco, c’era un po’ di tutto dentro.
Poi abbiamo studiato, abbiamo organizzato che sotto i gelsi, sotto le piante i tedeschi avevano portato tanta munizione, c’era addirittura la munizione di mitra italiano che noi non avevamo che cercavamo con i denti, proprio perché avevamo le armi e non la munizione. Lì abbiamo studiato che c’era il mitra il bazooka e altre armi. Però c’era... c’è di bello che noi non abbiamo mai dato dei guai a bruciare le case per rappresaglia allora anche lì si prendeva i cacciaviti si aprivano le cassette si toglieva la munizione, si pesava, poi si metteva tanta terra dentro e poi si tornava. I tedeschi hanno portato via le cassette con la terra dentro.
A Fossoli, c’erano tutti i russi, i tedeschi li avevano portati lì, erano più di 250-300 e li abbiamo, con i GAP e i partigiani di Modena, li abbiamo circondati e li abbiamo portati via in massa su in montagna. Dopo ci ha pensato il comando piazza, hanno fermato i tre ufficiali, c’erano i tre ufficiali di cui poi uno era diventato Modena nome di battaglia. La bassa reggiana ha avuto anche un guaio perché uno di quei russi che è stato preso là nel campo di Fossoli era scappato dalla montagna ed era andato a finire nella brigata nera e siccome lui conosceva nella bassa reggiana ... era stato ospite di case come partigiano a lavorare è entrato nella brigata nera e ci andava ad indicare le case dove era stato e le hanno bruciate tutte. Dopo lui siccome veniva a Reggio qua al comando due staffette nostre sono riuscite a portarlo fuori una sera promettendogli l’impossibile e... è stato fatto fuori, per non tenerla troppo lunga.
Siccome in montagna vicino alle colline tutti i ponti erano stati fatti saltare con l’esplosivo, allora i tedeschi non andavano più con l’autoblindo, con i carriarmati, hanno tentato diverse volte di circondare la montagna ma non ci sono mai riusciti per questo fatto. E allora avevano organizzato la cavalleria dei Mongoli, prigionieri con i cavalli e avevamo saputo, avevamo sentito dello spostamento dalla bassa reggiana a venir su per tentare di circondare le colline della montagna. La strada che va dalla chiesa di Rivalta andando su e sapendo che venivano da quella strada abbiamo messo le mine in tutta la strada. Infatti abbiamo visto i cavalli volare per aria... eh perché le mine anticarro...
Abbiamo provato anche i bazooka perché sai erano armi nuove per noi e Fiorello era un mago per queste cose qua, li studiava, li guardava... e dice dai che stasera ne andiamo a provare uno sulla strada di Cavriago, è passato un camion e infatti io stavo chinato me lo appoggiava sulla spalla e lui lo manovrava, 6 Kg di esplosivo... ah il camion è volato fuori in strada... eh la lotta era quella e...
Cosa è successo, che sul Ghiardo si era incanalata la brigata nera con dei tedeschi... un ragazzo che camminava, un ragazzo, era un ventenne, che camminava sulla strada del Ghiardo, quando ha visto la brigata nera e gli autoblindi che arrivavano, è scappato attraverso, ha saltato la siepe e si è messo a correre attraverso i campi in campagna e ha infilato il viottolo che veniva nella casa dove eravamo noi nel fienile appostati. Noi vedendo il camioncino della brigata nera venire dentro il cortile siamo stati costretti a far fuoco. Beh dico se vengono ti fanno fuori... Portandosi fuori dalla casa, ci siamo portati lì nelle alture e lì è nato il combattimento, loro si sono schierati oltre la siepe sul viario e sparavano. E Fiorello ha preso un colpo di tacpum (fucile tedesco) nel cuore, ci ha lasciato le penne. Ma quando è scappato, quando è arrivato il camioncino nel cortile è scappato uno dei nostri che avevamo lì, Francia, è scappato e loro hanno sparato ecco perché noi abbiamo reagito, abbiamo sparato perché avevano sparato a uno dei nostri quando scappava, lui invece di venire su sul fienile scappava in campagna e purtroppo poverino ci ha lasciato le penne anche lui. E loro hanno sparato e noi abbiamo fatto fuori quanti ce n’erano sul camioncino. Fiorello siamo andati a prenderlo la sera perché di giorno erano appostati e non era possibile. Alla sera lo abbiamo avvolto in un panno e lo abbiamo portato nel cimitero di Codemondo dove c’era una tomba di famiglia e abbiamo fatto il funerale, un gruppetto fra di noi.
Abbiamo disarmato anche i tre apparecchi nel Campovolo una notte, però prima di farli saltare li abbiamo smontati, abbiamo smontato le tre mitragliatrici, la 7-7 famosa che era una mitraglia potente, cioè antiaerea. Lì erano bullonate sul cuscinetto, per girare, sul cuscinetto, le abbiamo smontate poi dopo abbiamo dato fuoco agli apparecchi, tutti e tre. E le mitragliatrici senza treppiedi... Fiorello aveva fatto lui e lui lavorava era molto bravo a lavorare di meccanica perché lavorava in via Toschi da Bagni che faceva le bilance, le fabbricavano, le aggiustavano, allora c’erano queste officinette che lavoravano. E lui era molto bravo e infatti quando ne ha portato a casa uno gli l’ha fermato la brigata nera vicino al cimitero in via Cecati e gli dice: “Cos’è quell’aggeggio lì?”. “Eh – dice – questo è un treppiede che devo portare al caseificio a San Bartolomeo”, dice che per una scrematrice, dice il siero che dopo aver lavorato fatto il formaggio fanno dei travasi... “Va bene va bene, vai, vai”... E lui aveva due rivoltelle addosso e... e dico:“Fiorello se ti perquisivano?”. E dice: “Facevo il Tomix”, eh si scherzava così.
Andiamo sul tetto, perché per vedere sulla Madonna della Ghiara che sparano. Dopo siamo andati sul tetto ma non si vedeva niente. Siamo scesi siamo andati là vicino alla torre, abbiamo trovato il campanaro, quello che suonava le campane, e gli dico come si fa ad andare su lì, “A beh vai su di lì. Sali piano piano”. Va beh. Infatti siamo arrivati sul tetto che c’erano piazzati tre della brigata nera con la mitraglia 37 Breda, non avevano mica... e io lì ho gridato: “Fermi tutti mani in alto!”, e infatti si sono alzati e quando hanno visto il mitra puntato hanno alzato le mani e: “No non sparate non ammazzateci, vi indichiamo dove sono gli altri”. “Va bene dove sono gli altri?”. “Venite con noi ve lo indichiamo”. Erano nascosti lì dalla Luna a Porta Castello nel sotterraneo e c’era un plotone lo chiamavano loro, erano poi una trentina. Ma poi quando siamo arrivati giù c’è stata la sorpresa, davanti ai gradini della Madonna della Ghiara c’era una jeep ferma con davanti sul cofano una stella bianca grande come il cofano. Dico bah cosa c’è? Scende giù uno, l’autista che dice il comandante vuole sapere chi sono questi tre qua che avete preso con le mani alzate. Dico sono i tiratori che sparavano con la mitraglia sul tetto. Allora siccome il maggiore era un maggiore ufficiale non era, non parlava in italiano si faceva tradurre dall’autista che parlava un po’ di italiano. Lui è sceso si è tirato via il Thompson che aveva a tracolla, i tre ... una raffica di mitra e me li ha messi tutti che io ho dovuto togliermi un pezzo di fegato dalla giubba perché aveva sparato a bruciapelo, e dopo dico "beh si sono arresi, sono prigionieri, perché ha fatto questa cosa qua?" Dopo l’autista mi ha chiamato a veder la jeep che c’erano tre buchi. Libero e preoccupato che c’erano tante cose da mettere a posto e qualcuno mancava. Non era una giornata di allegria. Fiorello per me, mi è morto al fianco ma eravamo amici anche amici di gioventù diciamo.
Pierino Beggi (1920 - 2015)
pseudonimo
Gigi
Resistenza
1943 - 1945: Reggio Emilia (Italia)
Armed Resistance, Partisan
gruppi di resistenza
GAP Reggio Emilia
Download transcript (PDF format)
English translation
Original interview language (Italian)