Allora, io vengo dalla famiglia di un commerciante. Mio padre era un commerciante, un falegname. Mia madre faceva la cuoca. Mia madre proveniva dalla Styria e mio padre dalla Carniola. Si conobbero a Lubiana. Sono nato il 19 Aprile 1924 a Recica vicino Savinja. Poi ci siamo trasferiti. Per quanto riguarda la nostra residenza, ci trasferimmo da Sentjanz, Radmirje, Menges, Luc e siamo finiti qui a Kropa. Il 10 Luglio 1942, fui mobilitato presso l'Arbeitsdienst tedesco, il servizio del lavoro tedesco. Sono stato mobilitato in questo servizio, che era una sorta di tipo paramilitare. Fui nell'Arbeitsdienst per sei mesi. Poi tornai del Dicembre 1942. Quando tornai a casa, la convocazione per l'esercito tedesco mi stava già aspettando.
Ci reclutarono mentre servivamo nell'Arbeitsdienst. Fui assegnato alla fanteria tedesca. Quando tornai a casa nel Dicembre 1942, fui reclutato nell'esercito tedesco, mobilitato con la forza. All'epoca ero un ragazzo di 18 anni e non avevo idea di cosa fosse l'esercito o cosa fosse un'arma. Sono arrivato nell'esercito tedesco a Brno nella Repubblica Ceca; si chiamava Brünn in tedesco. Sono stato nell'esercito in Dicembre 1942 e in Gennaio e in Febraio. Avevamo quella che in tedesco chiamano Ausbildung, una formazione per l'uso di armi tedesche. Ci fu dato un incarico di cui non sapevo nulla: combattere contro i soldati Russi. Siamo stati inviati nel febbraio 1943, la Germania era in sofferenza dai tempi duri causati dalle truppe Sovietiche che annientarono le truppe tedesche a Stalingrado, a Leningrado e fummo mandati sul fronte Orientale.
Dopo alcuni pesanti combattimenti a Dnjepr Petrovski e a Orel dentro la linea di combattimento tedesca, giunsi nel piccolo villaggio di Balakleja. Lì sono andato a stare con una famiglia. I genitori avevano due figlie. Una della mia età; l'altra era di due anni più giovane. Facevamo un buon team con entrambe. All'epoca conoscevo lo sloveno e un po' di serbo croato. Ne avevamo imparato un po' a scuola. Era così che comunicavamo. Una mattina la madre ha portato un'immagine, un'icona di Madre Maria. Le ho detto madre in Russo - un po' russo, un po' sloveno, un po' serbo croato - e ho chiesto perché mi ha portato quell'immagine. Ho spiegato che abbiamo queste immagini appese alle nostre pareti. Ha detto che le sue ragazze e i suoi ragazzi erano comunisti. Non sapevo quasi nulla del comunismo. Proprio perché non abbiamo mai imparato nulla su di esso o sulla politica e sui partiti politici. Mi disse, sai al momento i miei sono komsomoljki. La parola komsomolj mi era estranea. È così che abbiamo ben comunicato, abbiamo lavorato bene insieme e dato da mangiare a queste ragazze per i loro sforzi. Un volta, la ragazza più giovane disse Ivo, ascolta, ho una bomaska per te. Ti stai chiedendo che cosa sia una bomaska? È un quarto di foglio su cui c'è scritto qualcosa, metà in tedesco e metà in russo. Sai leggere il russo? Sì, dissi, così così. Chiese come così così? Ho appena detto così così. L'alfabeto russo ha più lettere del Cirillico. Conoscevo un po' di tedesco, un po' di russo, un po'o di serbo croato e ovviamente lo sloveno; così lo lessi. la ragazza più giovane mi ha detto, se ti beccano i sovietici, questa bomaska mi avrebbe dato un pezzo di pane in più. Non immaginavo perché questa bomaska avesse un tale valore. In ogni caso è quello che mi ha detto la ragazza più giovane, che quando i russi mi cattureranno devo mostrarlo e riceverò un pezzo di pane extra.
Forse sono state una o due o tre settimane, non saprei dire perché non abbiamo seguito i giorni col calendario. All'epoca non conoscevano nemmeno i calendari in Russia. Sono stato fatto prigioniero mentre andavo col mio cavallo, pieno di cibo, sulla prima linea del fronte tedesco. Giuro che era uno stallone russo, quando quello stallone ha sentito la lingua russa, io non l'ho nemmeno sentita, ha iniziato a nitrire. Immagino di non essere stato attento; sono stato colto di sorpresa. Feci ancora qualche centinaio di metri e poi cinque o sei persone, anche ragazze, mi circondarono. Dissero che ero stato mobilitato nell'esercito tedesco. Lo dissi anch'io stesso. Ma mi chiedevo come facessero questi sconosciuti a saperlo. Uno dei soldati mi ha detto, in realtà era un civile, di mostrare la mia bombaska. Come lo si può sapere? ...gente estranea, sconosciuti... Così l'ho tirato fuori dalla tasca della mia uniforme tedesca, più su sul lato sinistro avevamo una tasca, e ho tirato fuori il foglio e l'ho consegnato. Il leader ha detto votja, charasho, che significa grazie per avergli dato il foglio. Mi hanno preso il cavallo, quando ero circondato; e mi hanno fatto assaggiare del cibo, per vedere se fosse veramente commestibile. Non so se dopo mangiarono quel cibo o no. Mi hanno inseguito a tre o quattro chilometri di distanza. Ma anche prima che venissi fatto prigioniero, l'orologio mi fu tolto dalla mano. Ricordo di aver pensato come non facesse alcuna differenza. Quando mi hanno preso, mi hanno portato in un villaggio chiamato Balakleja e mi chiusero in un pollaio. Forse erano due metri per due, o uno per uno. So solo che sono stato rinchiuso per un'eternità o almeno così sembrava. Non so se fosse pomeriggio o il giorno dopo, ma due soldati sono entrati e mi hanno chiesto se fossi tedesco o no. No, non lo sono, sono jugoslavo. Non sapevano di alcun jugoslavo. Mi hanno legato con un cavo e mi hanno portato in qualche Quartier generale. C'era un enorme tavolo, in una stanza molto grande e gli ufficiali erano seduti lì. Non so che tipo di ufficiali fossero. Mi hanno chiesto di tutto. Forse ci stavo pensando nel pollaio, mi è stato chiesto il mio cognome. Dissi Ivan Ivanovic Srcnikov. Quella poteva essere la mia morte, anche se non lo sapevo. E poi uno degli ufficiali, mi dice in russo qual'è il mio cognome?! Risposi Ivan Ivanovic Srcnikov. Disse che non sono jugoslavo, ma valacco piuttosto. I valacchi erano soldati russi passati al nemico o che erano stati fatti prigionieri. Erano passati e si erano arruolati nell'esercito tedesco. Poi quell'ufficiale ha detto sitchas mi vidjot, significa vedremo, se sei veramente jugoslavo. Mi chiedevo come facesse a capirlo a più di mille chilometri di distanza. Mi hanno spinto via di nuovo, mi hanno slegato e rinchiuso nel pollaio. Ci sono stato forse un giorno o forse poche ore. Le ore erano un'eternità. Gli stessi due soldati tornarono mi legarono e mi coprirono gli occhi. Pensai: addio Slovenia, Jugoslavia, mi spareranno. Sapevo che i russi sparavano ai soldati tedeschi giù da qualche parte vicino ai pruni. Ero sicuro di andare a morire. I due soldati mi hanno legato gli occhi e ho pensato addio genitori, adesso morirò. Siamo usciti dal pollaio e uno di loro disse che saremmo andati al Quartier generale. Quando siamo arrivati qualcuno chiese il mio cognome. Ridissi Ivan Ivanovic Srcnikov. Parlava in russo e ha detto qualcosa su alcune misurazioni; non ho capito perché parlava troppo velocemente. Mi ha spiegato che ero in piedi davanti a un tavolo e che c'era qualcosa sul tavolo, ma non ha detto cosa. Ha detto che avrei dovuto mostrarglielo prima che avesse contato fino a dieci. Ancora non sapevo cosa. I miei occhi erano ancora coperti. Mi ha sciolto gli occhi e ha detto che dovevo mostrargli dove fosse Celje. Ho dimenticato di menzionare che avevo detto che ero di Celje. Ho pensato che se avessi detto che ero di Kropa, non avrebbero saputo dove fosse. Se avessi detto che ero di Gornji grad, sarebbe stato persino peggio.Così ho detto che ero di Celje. Quest'uomo, quello che ha tirato fuori la mappa ha detto che se posso mostragli dove si trovi Celje sulla mappa, allora sono jugoslavo. Ha detto che per il momento conta fino a dieci; se non posso allora vado a Slivnjak, giù ai pruni. Poi ha contato ras, dva, tri, shetiri... E gli ho mostrato, eccolo qui. Mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto ti Jugoslav, che significa: tu sei jugoslavo e ora ci hai convinti. Sono andato in Siberia. Siamo andati con dei tedeschi; ci hanno portato in Siberia dove abbiamo incontrato altri sloveni. Tutti gli sloveni si sono riuniti e ci è stato detto che ognuno di noi può scegliere il proprio gruppo. E una volta formato il gruppo avremmo ottenuto il nostro lavoro. È così che ci siamo riuniti; eravamo in dieci sloveni. Poi abbiamo ottenuto i nostri strumenti, seghe, asce... Siamo stati mandati nella foresta a abbattere alberi. C'era abbastanza cibo mentre eravamo prigionieri russi. Forse non c'era molto pane. I russi in Siberia, nella taiga, cucinano solo 'supa' e ‘kasha’. Ti chiederai forse che cosa siano 'supa' e 'kasha'. 'Supa' è tutto ciò che è cotto e ancora fluido. 'Kasha' è porridge; tutto come purè di patate, cibi solidi. Là abbiamo mangiato solo pesce, di cui ce n'era abbastanza, non molto pane, ma abbastanza. Dopo un po' era ancora inverno, tutti gli sloveni e anche i croati e le altre nazionalità stavano tutti insieme secondo le nazionalità. Forse sloveni e croati erano insieme...
Poi è arrivato l'ordine, esci. Non so se ci fosse una guardia; ma dove scappare in caso? L'inverno era perpetuo, no perpetuo no, tranne la neve... Ci hanno portato a Mosca, o veramente era Krasnogorsk. C'era un campo di prigionieri di guerra a Krasnogorsk. Lì c'erano rappresentati tutti i tipi di nazionalità: sloveni, croati, cechi, polacchi e perfino francesi. Ci hanno addestrato a Krasnogorsk. Questo è ciò che penso e ne abbiamo discusso anche tra noi: saremmo stati mandati contro Hitler, contro la Germania. Abbiamo deciso tutti che l'avremmo fatto. Quindi a Krasnogrosk eravamo preparati, ci hanno cambiato... suonerà un po' malizioso come lo dico... dal fascismo al bolscevismo o dal nazionalismo al bolscevismo. È così che immaginavamo che andassero le cose in quel momento, perché non c'erano sentinelle o guardie che vegliassero su di noi a Krasnogorsk. Credo che siamo stati lì a Krasnogorsk forse un mese circa. Una volta Mesic venne a farci visita; era di rango un generale. Era il padre dell'attuale croato Mesic, quello che ora è Presidente o qualcosa del genere. Quindi suo padre è venuto da noi e ha detto, ragazzi chi vuole unirsi alla brigata può andare a combattere i tedeschi. O per allontanarsi dall'accampamento, o forse solo per evitare di essere controllati, o forse anche noi eravamo del tutto consapevoli, comunque abbiamo scelto di unirci alle unità. Sono entrato a far parte della brigata jugoslava, così è stata chiamata in seguito, ma allora era un distacco. All'epoca eravamo forse circa 200 o 300, 400... Mi sono accodato e non so se fossi debole o meno; forse lo ero. [00:03:06.10 Ma sono arrivato in quel Quartier generale dove Mesic era l'ufficiale in comando e disse che sarei andato da qualcuno. Chi? Non lo seppi. Ma è successo che sono andato da quest'uomo che viveva in Russia dal 1918, o forse anche prima, dalla Prima Guerra Mondiale. Il suo nome era Jevremovic. Andai da quest'uomo che indossava un'uniforme e parlai in serbo con lui, e mi disse che sarei andato con lui per essere suo corriere.
Così ci siamo addestrati lì. All'inizio ero in un'azienda di cravatte e poi radiotelegrafista. Fu nel Settembre o in Ottobre del 1943 che partimmo. Siamo andati al fronte. Siamo andati in prima linea, ma eravamo proprio dietro. Mentre le unità sovietiche marciavano verso la Germania, abbiamo pulito dietro mentre le unità tedesche si sono disperse nella foresta e abbiamo dovuto ripulirle. Abbiamo attraversato la Romania, i Monti Carpazi e per lo più abbiamo continuato a muoverci di notte. Per dormire a sufficienza la notte, la compagnia si sarebbe riunita e avrebbe legato una corda al carro e al cavallo e poi ognuno di noi legava quella corda alla vita, così abbiamo camminato e dormito. Avresti dormito camminando. Se qualcuno di fronte a te fosse caduto ce ne sarebbero stati subito altri dieci impilati. È così che abbiamo attraversato i Carpazi. Poi siamo arrivati a Turnseverin. All'epoca quello era il confine rumeno-jugoslavo. Attraversammo il Danubio entrando nell'ex Jugoslavia, o meglio, Jugoslavia occupata. Li stavamo già liberando in quel momento. Poi ci siamo uniti al combattimento a Cacak. Le cose andavano molto male a Cacak. Fin qui la Brigata contava 1000 o 2700 uomini. Poi a Cacak arrivò un uomo vestito in modo stravagante, in groppa a un cavallo. Disse che le sue forze armate - le abbiamo chiamate Tchetniks e quello era anche il loro nome formale - si arrendevano ai nostri soldati. Poiché eravamo da tutta la Slovenia e dalla Croazia e non c'era nessuno di quegli autoctoni nella nostra brigata. Questo è in pratica il modo in cui hanno salvato le loro vite. C'erano anche Partigiani da Cacak e loro conoscevano questa gente; ma i Partigiani e i Tchetniks non andavano molto d'accordo in quel momento. Quest'uomo portava alcuni piani a Mesic. Prima che potesse vedere Mesic, però, è stato spogliato e perquisito dalle nostre guardie; dovevamo assicurarci che non avesse armi prima che gli fosse permesso di vedere il nostro ufficiale in comando Mesic. Gli porse una lettera. C'era scritto su quella lettera che in quel giorno la nostra artiglieria avrebbe dovuto sparare da questa o quella posizione in luoghi particolari dove i tedeschi erano meglio organizzati. Vi era stato anche scritto che gli Tschetniks, i serbi, si sarebbero arresi alla nostra unità. I nostri comandanti, Mesic si infervorarono per questo; e così le nostre truppe iniziarono con i preparativi e poi con l'attacco a quei precisi luoghi prescelti. Ebbene, lì non c'erano tedeschi. I Tschetniks ci hanno attaccato da dietro e hanno massacrato da dietro i Partigiani. Abbiamo perso 700 uomini in una notte e un giorno in quel massacro. Quando tutto finì, non ero ancora nella Brigata del Quartier generale in quel momento, ma ero ancora in truppa e avevamo una mobilitazione a Cacak. Al nostro arrivo a Belgrado, beh eravamo solo per poco lì, eravamo a Topcinder. Siamo stati divisi in battaglia e alcuni di noi sono andati in Bosnia, alcuni sono saliti verso Srem, verso Sid e noi siamo andati a Drvar. Poi eravamo al fronte a Srem, dove c'erano molti combattimenti e ci siamo diretti in una direzione una volta e in un'altra direzione un'altra volta ... Lentamente, lentamente ci siamo diretti verso la Slovenia. Era già il 1945. Abbiamo trascorso il capodanno sul fronte Srem, ma abbiamo continuato in direzione Nord e siamo arrivati al confine croato-sloveno l'11 aprile. Siamo giunti al fiume Sotla. Sedlarjevo era nella parte slovena. Non ricordo il nome, era un piccolo villaggio.
La nostra Brigata ha varcato il suolo sloveno a Sedlarjevo senza combattere. I tedeschi si stavano ritirando e noi entrammo subito. Poi siamo scesi a Podcetrtek. C'erano persone in piedi lungo la strada a Podcetrtek. Siamo passati, stavo cavalcando - perché ora ero già un ufficiale al comando dell'"unità di supporto delle retrovie" - così stavo cavalcando il mio cavallo e qualcuno chiama 'Ivo!' Ho sentito un brivido di paura. Chi potrebbe mai conoscermi qui? Non ero mai stato a Podcetrtek o da nessun'altra parte dei dintorni. E poi una seconda volta 'Ivo', 'Ivo vieni qui!' Mi guardai intorno e riconobbi la ragazza. Era una mia ex compagna di classe. Oggi è ancora viva. È venuta da me e mi ha invitato di andare a mangiare. Le ho detto grazie, ma se mi avvicino ci sarà un tappeto brulicante su tutto il suolo. Perché? Le spiegai che ero ricoperto di pidocchi; lo eravamo tutti. Quindi giungemmo a Celje il 12 Aprile. Mi chiesi come ero potuto arrivare fino a lì. Bene, ero l'ufficiale in comando dell''unità di supporto di retrovia". Così sono andato da Mesic e gli ho detto: Mesic vorrei tornare a casa. Parlavo in serbo-croato; non parlammo in sloveno. Mi chiese di dove fossi. Ho mentito e gli ho detto da circa cinque o sei chilometri di distanza. Il mio cuore ha già incominciato a battere forte. Ci era stato concesso di prendere un permesso al massimo per cinque chilometri. Così mi guarda negli occhi e mi richiede quanti chilometri? Risposi, forse cinque e mezzo, non sei, me lo sono rimangiato velocemente. Mi chiede come ci vado. A piedi rispondo. Quando sono uscito da quell'ufficio, ho visto una bici proprio davanti. Era una bicicletta tedesca. Forse qualcuno l'aveva lasciata lì, forse apparteneva addirittura a qualcuno in quell'ufficio, non lo so. L'ho vista e l'ho rubata, davvero. Non importa; era tedesca. Quindi rubo questa bicicletta e inizio a pedalare. Sono poco meno di 50 chilometri da Celje a qui, ma ho praticamente ignorato quello zero di troppo e ho detto che erano solo cinque. Ero fatto così. Ci arrivai, dalla parte di Savinja dove viveva mia madre. Giungo sulla riva sinistra del fiume Savinja e vedo che la casa è ancora in piedi sulla collina.
Quando sono arrivato sono andato a trovare mia madre. Poi quest'uomo ha dovuto farci attraversare perché il ponte era caduto. Era stato bruciato. Ci ha portati attraverso me e mia madre, io con la mia bicicletta rubata e lei con la sua, si diresse verso la valle di Zadrecka. Sono circa otto chilometri in salita. Poi i partigiani mi hanno fermato e sostenevano che ero un soldato tedesco vestito da partigiano, che voleva restare nella Jugoslavia liberata. Ho detto ascolta, ascolta... Ma hanno tirato fuori una rivoltella e me l'hanno puntata. Mia madre ha cominciato a piangere. Mi avrebbero sparato se non fosse stato per lei. Dissero che avevo ucciso un Partigiano, mi ero vestito con l'uniforme Partigiana e buttato via quella tedesca. Non era vero. Mi sono unito ai Partigiani nel 1943, avevo tutti i miei documento e potevo provarlo. Alla fine siamo tornati a casa. Era la mattina o forse il pomeriggio del 16 maggio quando sono arrivato qui a Kropa. Era così la situazione a Kropa dopo la guerra; le persone erano sparite. Anch'io sono tornato a Celje, con la bicicletta. La nostra Brigata era già partita. Mesic mi aveva detto che aveva sentito che ci saremmo mossi da Celje. Dissi che se si fossero mossi prima del mio ritorno, dovevano lasciare un messaggio a casa di questa donna. C'era un'anziana donna, ne avrà avuti 60 o 70. Al mio ritorno con quella bicicletta, ricevetti il messaggio e c'era scritto Mali - questo era il mio nome Partigiano - siamo andati a Zagabria, a Maksimir.
Non appena sono arrivato a Celje, per niente pigro, sono andato direttamente a Kumrovec. Sono andato a Kumrovec da Celje in bicicletta. Poco prima di raggiungere Kumrovec, c'erano queste case di legno con persone che ci vivevano. Sono arrivato in una di quelle case e dentro c'era una donna. Ho chiesto se potevo dormire lì. Perché? Perché sto andando a Zagabria. Mi ha chiesto quando sarei partito. Ho detto la mattina presto. Ha detto che potevo restare. Mi ha preparato un letto; era così gonfio di piume che ne fui ricoperto. Mi ha chiesto di nuovo quando sarei partito e ho detto all'alba. Quando mi sono svegliato, forse erano le cinque del mattino del 17 Maggio. C'era un enorme piatto di uova fritte che mi aspettava. Ho mangiato, ci siamo salutati e ho proseguito per Zagabria. Ma quando ci arrivai a Zagabria, la brigata non c'era più a Maksimir. Ero ancora su quella bicicletta. Ho lasciato la bicicletta davanti a Maksimir e sono entrato dal portiere. Quando sono tornato fuori, la bici era sparita. Qualcuno l'aveva rubata. Facile, facile. Ovviamente avevo un messaggio. Mali, devi fare rapporto al Quartier generale centrale a Belgrado. Sono andato a Belgrado; devono essere stati 10 o 12 giorni. A volte ero su un treno, a volte viaggiavo a piedi. Le rotaie erano disastrate. Giunsi a Belgrado; penso che fosse la fine di Maggio. Ho fatto rapporto al Quartier generale centrale di Belgrado e vi ho trascorso un po' di tempo, una o due settimane, o addirittura un mese. Poi sono stato mandato al Quartier generale del 1° reggimento a Nis. Ci sono arrivato e mi ritrovai nel 'reparto personale'. Il mio compito era interrogare coloro che si univano ai Partigiani e diventavano sottufficiali. Gli dovevo chiedere dove fossero stati, ho dovuto interrogarli a fondo e scoprire che tipo di passato avessero. È così che sono stato nel Primo reggimento fino a Novembre 1945.
Alla fine giunse il giorno in cui dovevo essere smobilitato. Ho ricevuto 5000 dinari; all'epoca erano molti soldi. Quando ho lasciato l'ufficio di Sekulic, prese le mie spalline, le strappò e le calpestò. Queste due stelle, ne avevo due su ogni spalla perché ero sottotenente, le ho ancora oggi. È così che sono stato smobilitato, alla fine di novembre. Sono tornato a casa e subito sono diventato segretario del Fronte di Liberazione (LF). La LF fu istituita allora senza distretti. C'erano solo le LF, loro avevano il potere. C'era quest'uomo che ne era il presidente ed era anche un Partigiano. Stavo lavorando il legno per mio padre e questo poliziotto entra in officina e mi chiede se sono un tal dei tali. Dissi che sono Srcnik. Mi dice di andare con lui. Chiedo, dove? Dice intanto vieni. Così andammo in strada. Un altro poliziotto introduceva il presidente della LF. Ho chiesto cosa stava succedendo, che cosa facciamo? Continua! Non ti è permesso parlare! Quindi siamo andati avanti... Ad ogni modo, giungemmo al ponte e disse che saremmo andati in quella casa. Perché? Non chiedere, andiamo e basta. Arriviamo così a quella casa e giunge un'auto; era una Volkswagen tedesca e c'erano due persone dentro. Non ricordo se erano vestiti da civili o meno. Uno dei due è entrato mentre l'altro è rimasto fuori in macchina. Ha fatto segno ai due poliziotti che dovevano entrare. Seguì un esame. Non entrerò in ciò che ne venne fuori. È così che è iniziata questa vita civile.
Ivo Srcnik (1924 - 2017)
pseudonimo
Maleali
Resistenza
1943 - 1945: Rečica (Croazia)
Armed Resistance
gruppi di resistenza
Yugoslav Resistance Movement
Download transcript (PDF format)
English translation
Original interview language (Slovenian)