Mio nonno era Zebenini Carlo. Era un padre che aveva preso mio papà, perché mio papà era un esposto, un figlio di NN, non so come dite voi, era un figlio di... di nessuno. L’aveva preso da piccolino. Mio nonno che si chiamava Zebenini Carlo, mio padre poi si chiamava Quadreri Reino. Poi dopo c’era la mamma che si chiamava Paterni Valentina, nata a Reggio. Poi devo continuare? Poi c’era mio fratello Gastone che era del 1917, poi c’era Giulio, Quadreri Giulio che è nato nel 1925. Poi Quadreri Laura che è nata nel 1926, poi Quadreri Giovanna nel 1928. Poi Quadreri Aldo del 1931 e Renzo del 1933. Mia madre faceva la sarta, per fortuna. Invece mio papà faceva l’operaio, noi avevamo la casa e un po’ di terra, però faceva l’operaio, perché una famiglia così grossa... Non c’era possibilità proprio per niente poi è arrivata la guerra ed ha rovinato proprio tutto. Non... nessun titolo, hanno fatto solo la terza elementare perché a Marola c’era solo quella lì e per dare l’esame di quinta io sono andata a Carpineti, solo io l’ho fatto. Siamo stati a casa, i miei fratelli andavano a lavorare così dove capitava o anche per garzoni nelle famiglie. Mio fratello più vecchio invece quello ha lavorato 10 anni in seminario come manovale da muratore, dopo a 20 anni è andato militare. E mio padre così... quando poteva faceva un po’ di lavoro, d’estate lui aveva un lavoro fisso diciamo per due mesi andava a trebbiare con quelle macchine da trebbiare il frumento e allora stavano via molto, stavano via quasi due mesi a lavorare. Con il lavoro che teneva mio padre perché era bravo a tenere a queste macchine che adesso poi si vedono nei paesi le macchine che vengono a fare ancora la trebbiatura. Mio padre d’estate lavorava sempre con questa famiglia, per 42 anni ha lavorato per questa famiglia. L’unico stipendio che c’era sempre era quello lì di tutto l’anno, il resto ci facevano fare quindici giorni, ma una volta o due all’anno e basta. Noi stavamo ancora bene perché mia madre faceva la sarta, un po’ di soldini se li guadagnava ed era molto molto brava e lavorava per questi signori che un po’ di soldi ce li davano. Ma la famiglia eravamo in nove. Poi... dopo i miei fratelli sono andati subito tutti a lavorare. Mia sorella è andata a 10 anni a Parma con questa signora, una signora che era da sola, a 10 anni era già via da casa. Io sono andata in Svizzera, sono stata dieci anni in una casa. Io mi sono presa la responsabilità che alle due, andavo a letto all’una e alle due andavo a chiamare il mio padrone, dovevo bussare alla porta e dire: “Sono le due”. Lui si fidava, che io avevo 20 anni neanche, 19-20 anni, si fidava di me di andarlo a chiamare, perché lui andava a letto alle dieci, magari è... non diceva a sua moglie “vienimi a chiamare” perché sua moglie magari... io andavo a bussare perché lui andava a lavorare nel forno. Poi è morto il padrone, mi è rimasto tre bambini con la signora malata, un ristorante e il forno e tutte quelle cose lì. Io mi sono sempre sentita solo in dovere di lavorare, e basta. E sotto i tedeschi lavori eh, perché loro lavorano. E’ vero o no? Loro lavorano veh, perché quando piove forte, con un cappello da prete in testa, vanno in campagna.
No, per l’amor di dio mio padre, no. Mio padre già faceva... già faceva il partigiano quando andava nei ritrovi la sera nei seccatoi che si chiamavano trenta pere, un bosco che si chiamava così e c’erano questi seccatoi di montanari che d’inverno non c’era nessuno allora loro andavano lì. Prima del regime fascista, è cominciato il ’22 non lo so... quando è cominciato? Eh, nel ’22 è cominciato? No, beh allora nel ’28, nel ’30 siamo. Io sono nata nel ’28 per essere già una bambina perché loro poi ti indirizzavano, tu sapevi che andavi là, per dire al Buco del signore e andavi là, là dove c’era quella famiglia, poi tornavi indietro insomma. Era... non so neanche come dire... ecco non è che era... anche se si era piccoli, noi eravamo già in grado di spostarci, perché in montagna tutti questi sentierini portavano in fretta alla prima casa. Poi c’era un’altra famiglia, i Miliari, che abitavano poco lontano da noi, ed era proprio... non ha fatto neanche battezzare i suoi figli, era proprio un antifascista, era stato... mi sembra in America a lavorare così, e allora sa con mio padre... Poi c’era... è che voi non lo conoscete, ma c’era il papà dell’onorevole Nello Nusoli. Eh anche lui era proprio... era uno di quelli che andava lì con mio padre e andavano in questi seccatoi la sera e si trovavano. E non so di cosa parlavano, perché io poi allora... ma io... non so proprio, davvero già da bimba andare a dire a questo quest’altro o magari stasera ci troviamo, il papà stasera viene... così, allora loro sapevano già dove ci dovevano trovare ecco. Lì ce ne era degli ebrei, lì da... lì a Marola. Era venuto un signore molto bravo che frequentava tanto la nostra casa, perché c’era anche un ragazzo giovane, della bravissima gente, avevano fatto una bellissima casa lì a Marola però noi non abbiamo avuto mai a che fare con nessuno. Dopo io invece quando sono stata via, invece io sono stata tanti anni con gli ebrei, dieci anni... proprio d’estate e d’inverno io avevo, siccome lavoravo in un ristorante loro venivano proprio a far campagna d’estate e d’inverno, proprio per me era tutta brava gente. Poi dopo io altre cose, non saprei proprio cosa dire per gli ebrei proprio perché... Poi dopo io altre cose, non saprei proprio cosa dire per gli ebrei proprio perché... C’era una famiglia qui a Reggio che poi ha detto... era in casa con, veniva in casa con i miei zii dove io andavo a prendere sempre le informazioni, e quello lì poi un giorno dice: “Dobbiamo andare via”. Avevano un negozio lì di mobili, secondo me hanno chiuso tutto e poi hanno detto noi dobbiamo andare via, ma allora io non pensavo e non sapevo perché gli ebrei scappassero così. No, io poi non, non se ne parlava perché sai gli ebrei... poi noi in montagna, noi abitavamo a Marola, non eravamo... although I would often come to Reggio, since my mother was born in Reggio, in via Emilia San Pietro.
Sì l’inizio della guerra sì, perché già mio fratello era andato via, il più vecchio, è andato via nel ’39 ed erano già in Albania, perché l’altra sera mentre guardavo le cartoline, guardavo e nel ’39, i primi del ’39, era già in Albania. Dopo aveva già fatto il militare a Udine perché era negli Alpini della Julia, aveva già fatto il militare come alpino, poi dopo quando hanno... si vede che era già scoppiata anche la guerra dell’Albania, li hanno mandati là e da là poi ha fatto l’Albania, la Grecia e la Russia. Di questo mio fratello che era tornato... beh è tanto lunga la storia di mio fratello poverino perché è stato prima in Albania, in Grecia e poi in Russia e dalla Russia è tornato ammalato, anzi credevano che era morto no, mentre tiravano su i morti là nel Don e lui non era morto era assiderato e stava male, ma non era morto. Dopo si vede che pian piano l’hanno rifocillato e dopo sono riusciti poi a portarlo a Rimini. E dopo l’hanno tenuto a Rimini tre mesi che purtroppo non siamo andati nessuno a trovarlo, perché allora non c’erano... non c’era la possibilità di andare, non c’era viaggi, non c’era mezzi di niente. Io a Milano sono andata a piedi ma andare a Rimini secondo me mi sembrava troppo lontano. Mio padre era a casa durante la guerra. Eh, fortunatamente era a casa e... lui non ha fatto niente, lui stava, lui andava a vedere quando se c’erano dei tedeschi, uno stava attento ai partigiani, lui quando non lavorava... lui dormiva poco, perché lui doveva sempre andare a vedere se c’era qualcuno perché se per caso qualcuno avesse ammazzato un tedesco così... e se qualcuno avesse ammazzato un tedesco lo sa che bruciavano addirittura dei paesi? Distruggevano quello che trovavano, ammazzavano un tedesco e ne ammazzavano dieci dei nostri. Allora mio padre stava molto attento, infatti a Marola hanno bruciato solo una casa e non so se è rimasto ferito qualcuno, perché io a quei tempi non ero a casa, ero un po’ in montagna, un po’ a Reggio a seconda, io ero sempre in viaggio.
Perché è andata mia sorella... Mia sorella è andata nei partigiani. E’ andata nei partigiani perché lei se l’era presa con il sindaco, allora, con il sindaco e con quelli di Carpineti, allora c’erano i partigiani e dice: “Allora io vado con loro perché io voglio che questa guerra finisca, io voglio...” ed era talmente arrabbiata che... perché doveva andare in galera al posto di mio padre mia sorella, non so se ve l’ho già raccontato... e quando ha visto che mio padre non tornava è andata a vedere e allora mio padre era in prigione, gli avevano dato tre giorni. Allora ha detto: “Beh adesso al posto di mio padre, mio padre deve andare a casa c’ha la famiglia a casa e io sto qui” e allora dopo li hanno mandati a casa tutti e due, mio padre e mia sorella. Dopo invece che tenerlo tre giorni l’avranno tenuto due giorni in prigione, perché aveva dato uno schiaffo al sindaco... al sindaco si dice? No, era il podestà allora... beh è lo stesso. Niente, dopo che è venuta a casa, lei era talmente arrabbiata, poi sentire sempre che mio padre era avversario e poi sentire che c’era questo mio fratello, l’unico che portava a casa un po’ di soldi, che lavorava da tanti anni in seminario, era lui che prendeva la quindicina allora, cominciava a prendere un po’ di soldini. Non avevamo più aiuto da nessuno. Mia sorella da piccolina é andata anche lei a servire, a Parma. Lei aveva nove, dieci anni, é andata a Parma con una signora. Al mattino faceva la faccendina di casa, pomeriggio andava con la contessa, che era poi una signora molto vecchia. Lei faceva la crocerossina, allora se la portava in ospedale. Per quello che ha avuto la mania di curare i feriti, di curare la gente, proprio una passione. Ecco perchè dopo é andata nei partigiani e faceva l’infermiera lei. Faceva quello che poteva fare, le punture, curare delle cose, insomma si impegnava per la gente, per la gente lì del paese e per i partigiani, ma anche per la gente del paese, perché sai in montagna non c’era niente per nessuno. Mia madre poveretta che era l’unica che sapeva fare le punture correva sempre avanti indietro, la chiamavano dappertutto, anche di notte. Perché dopo poi quando io... dice i miei: “Quella là, va a vedere un po’ dov’è”. E allora io sono andata là. E quando sono andata là sono finita dentro un rastrellamento. Dentro un rastrellamento che c’era un ferito con una gamba fracassata. Allora mia sorella con degli uomini mi avevano detto: “Vieni anche tu, vieni! Vieni!”. E siamo andati a Quara di Toano, Quara su in montagna poi dopo di lì siamo andati nel modenese. Ma io il giorno dopo sono voluta tornare a casa perché ho detto: “Dobbiamo dire qualcosa, io devo andare a casa a dire qualcosa ai genitori”. Sa, sapere che c’era stata una grossa battaglia a Carpineti, si erano ritirati sul castello, ma dopo sono dovuti scappare proprio... e allora io sono andata, io sono venuta a casa e mia sorella non è più venuta a casa, per un anno, fino che non è finita la guerra, invece io andavo avanti e indietro. E dopo io sono tornata a casa e basta, così. Sono andata una volta o due su a vedere se, ogni tanto i miei mi dicevano: “Va a vedere un po’, va a vedere”, perché erano preoccupati, perché lei aveva poi 18 anni, finché era a Parma che allora sapevano che era una famiglia, ma sa così, si preoccupavano tanto. Allora io partivo alla mattina presto andavo via di corsa, andavo in ritrovata e poi ogni tanto chiedevo: “Avete visto una formazione di partigiani con una donna?”, che poi erano due, c’erano due ragazze, sì. E allora dopo mi hanno detto: “Sì lo sappiamo dov’è” e mi hanno portato proprio a Gova, proprio là dove, verso il Monte Penna, ma lontano lontano proprio. Erano scappati là, perché con i tedeschi di dietro sono dovuti andare. E lei era sempre più indietro perché lei aveva questo ferito da portarsi a dietro ma non so se lo portava lei, c’era chi li aiutava ma erano sempre gente senza mezzi, senza un cavallo, senza niente insomma, allora si improvvisava delle barelle, delle specie di barelle e li portavano così, degli scaletti, come si dice... delle scale, quattro uomini e li portavano così, mettevano un panno se ce lo avevano, una persona sopra e via.
Io invece, io facevo la staffetta... io non stavo là ferma, mai. Io andavo da Reggio a Secchio. Dopo perché poi è finita così... io andavo spesso a vedere perché i miei mi mandavano, insomma andavo a vedere, allora dopo... dei ragazzi mi hanno detto: “Ma tu vai su, magari ci devi portare in montagna”, allora prendevo su ogni tanto qualche ragazzo e li portavo una volta qui, una volta là, a seconda come arrivavano allora dicevano: “Beh allora ci fermiamo con questi partigiani”. E andavo molto lì da Don Carlo, che era poi di quelli lì, e allora li lasciavo qui questi ragazzi. Poi c’erano i Davoli, i Davoli... Kiss il comandante delle staffette, che era di Reggio ed era proprio il padrone di casa dove era nata mia madre, allora dopo... niente lui ha detto: “Io devo andare in montagna”. E l’ha detto con mia madre, dice: “Io devo andare in montagna, vengo a casa vostra e poi dopo di lì...”, allora dice mia mamma: “Beh va bene – dice – vieni che mia figlia ti porta su”. E allora ci siamo andati. Era un ragazzo di famiglia molto buona, molto... E niente, allora è andato su, è andato al comando unico, al comando unico poi lui si è trovato con Gordon, quello che è morto ieri, e dei ragazzi un po’ speciali e allora Don Carlo dice: “Io direi di affidarvi alla missione inglese” che cominciavano a venire giù dei paracadutisti. Allora infatti, allora hanno messo a Secchio il comando della missione inglese, con i trasmettitori, come si dice... con quegli affari lì da trasmettere che avevano, allora dice: “Io mi appoggio lì”. Allora hanno scelto fra questi del comando unico si sono fatti dare 23-24 partigiani, fra quelli un po’ scelti, fra quelli che era già un po’ che erano lì, che erano bravi che erano... perché sa, purtroppo lì i primi tempi specialmente c’è un po’ di tutto e allora sai, volevano proprio delle persone molto serie, così, niente. E c’erano questi, questi 25 che sono andati sotto la missione inglese. Ah dopo io, allora hanno cominciato a dire: “Ma adesso dobbiamo organizzare delle staffette”, ma dice: “Tu sei destinata a Reggio, solo tu, perché tu, c’è un comando qui a Reggio”, e io dovevo andare da questi, io già conoscevo. C’era l’avvocato Grandi, Piccinini che era architetto, il conte Calvi. Erano sei poi dopo due, uno l’hanno ammazzato mi ha detto Mattia e l’altro non so. Ma erano 6 subito, questi antifascisti che avevano la piazza di Reggio. Allora io dovevo andare a casa là da mia madre e dai miei zii, che erano proprio nella casa di Davoli, di quello Giulio, di Kiss quello che è venuto che era poi infatti il comandante delle staffette, e infatti aveva organizzato un bel pochino. Però io, solo io dovevo venire a Reggio, perché insomma dopo, avevano imparato che io riuscivo a ricordarmi, a fare le cose ben fatte. Magari se c’eravamo in di più... Invece io, delle volte, non scrivevo certe cose, certe cose io le scrivevo sulle cartine e poi le mangiavo anche, se mi avessero trovato, perché come ricordarsi dei nomi tedeschi e cose così allora. Allora io quando mi dicevano: “Vai perché per il tal giorno c’è un rastrellamento, lo comanda Dolmann, lo comanda Surmann” che erano i grandi, quelli che organizzavano i rastrellamenti così. Allora io per quelle cose lì, i nomi più particolari, le cose più importanti le scrivevo. Prima mi chiamavo Libertà, perché me lo avevano dato, perché prima te li davano loro i nomi partigiani, quando vai lì e loro ti dicono... allora a me invece mi avevano dato il nome Giorgio e niente e poi me lo hanno dato dopo, il primo invece era Libertà, no Volontà. Perché quello lì io non ci pensavo neanche che l’avessero scritto loro invece alla fine hanno scritto, non so chi, forse quelli lì dove c’era il ferito, che avevano scritto che io sono venuta a casa così, ed è a Busana, poi me lo hanno dato, poi me lo hanno requisito ad Albinea ed è ancora su ad Albinea quel primo tagliando lì. E io non ce l’ho quel primo coso lì che me lo aveva scritto qualcuno che eravamo andate con il ferito, con questo carnero fino a... fino nel modenese e poi dopo che eravamo venute a casa, ma io ero venuta a casa non mia sorella. Io sono venuta via dopo due giorni al massimo, dovevo andare a dire qualcosa ai miei. Allora era Libertà... io dei due non vi so proprio dire bene bene quale era. Libertà o Volontà. Mia sorella si chiamava Foresta a lei glielo hanno messo subito e anche a me lo avevano dato, ma l’ho tenuto così poco che io poi non mi interessavo, anzi io non lo sapevo neanche. Perché è stato su, ce n’è un altro lì, lui è un ragazzo di Modena, di Parma, un ragazzo di Parma che stava facendo delle cose non so, anche lui è andato su a Busana, a Castelnuovo e lì a Castelnuovo ci hanno dato questi primi documenti che io proprio non ho. E dopo io ho continuato con Kiss: “E va beh dai, ti mettiamo il nome Giorgio, sono tutte donne, ti diamo un nome da uomo”, così io con quello sono sempre andata.
Ma vede, forse, non so, un po’ perché subito secondo me doveva finire la guerra e poi dopo quando sei dentro ad una cosa diventa talmente una cosa... non so neanche come dire, per me era diventato un obbligo, una cosa che dovevo fare, che dovevo fare come magari i lavori in casa, così ed era anche bello ed era un lavoro che io dovevo fare. E si faceva con talmente tanta volontà che non ti pesavano tutti quei chilometri dalla Via Emilia, che partivo da San Pietro la mattina e arrivavo a Secchio la sera, con i piedi che mi sanguinavano. Mi facevo fare gli scarponcini inglesi, mi davano gli scarponi, mi facevano andare dal calzolaio e poi guastavano questi scarponi inglesi e poi mi facevano le scarpe adatte per il mio piede. Però camminare tutto il giorno dentro a queste scarpe io arrivavo su e dicevo: “Ma io non ne posso più, mi fanno male i piedi che chissà”. “Dai vai giù”, perché io quando avevo consegnato se andava bene mi diceva: “Toh, prendi le forbici che c’avrai anche le unghie lunghe, fai un bagno ai piedi e poi dopo vedrai che stai meglio”. E andavo in una casa dove c’erano due signore anziane, per quello io stavo bene quando andavo là perché dormivo in un letto e poi mi riposavo. Il giorno dopo mi facevano due volte la polenta, a mezzogiorno e alla sera, una di castagne e una di granoturco, però stavo bene veramente mi riposavo e poi ero lì, veramente veniva anche qualche altra ragazza, ma in particolare lui voleva sempre che io andassi là e io non stavo male. Invece mia sorella poveretta dormiva sempre nelle capanne e nelle stalle dove capitava. Eh subito sì, subito dicevo: “Mah... Mah... Non so, perché devo fare io questo lavoro?”, ma subito dicevo così. Ma vedevo che c’era il bisogno di fare queste cose secondo me, era un dovere di fare qualche cosa. Mio padre ad esempio, quando eravamo piccoli, e anche molto piccoli, quando c’era un contadino che faceva... facevano i fieni, facevano il raccolto del grano... mio padre diceva: “Andate ad aiutare quel signore. Dai che se viene a piovere magari, dai che prendo su la corda”, e noi tutti bambini andavamo ad aiutare questo signore.
Gordon, quello che è morto ieri, era lui quello che organizzava sempre e allora, allora ha detto con... aveva un tedesco... aveva un tedesco e un ragazzo e ha detto: “Dobbiamo andare a dare l’assalto al treno che arriva che porta le munizioni al fronte”. Allora si sono decisi e siamo partiti con due grosse bombe e un mulo e poi siamo andati fino a Baiso. Ma lì era già sette otto ore che camminavamo, perché il mulo andava piano e noi... E dopo passati a Baiso, c’era un ragazzo che lavorava con noi, di Baiso, allora, che si chiamava Barozzi, è anche morto poverino giovanissimo, allora ha portato, si vede che Gordon ci avrà detto: “Ma come facciamo ad andare così lontano, insomma con delle armi...”. Niente sono andati in officina, secondo me questo Barozzi ci avrà detto: “Adesso vi porto in officina”, e ci hanno messo una millecento a disposizione. Là hanno lavorato giorno e notte per prepararla e il giorno dopo sono partiti con... ma io sono dovuta andare in anticipo, sono dovuta andare a piedi, loro sono andati poi con la macchina il giorno dopo e anche un po’ più tardi, ma io sono dovuta andare in anticipo e dire: “Guardate che arriva una macchina tedesca, con tre uomini però sono i partigiani”, c’era il documento che mi aveva dato... e nel libro di Gordon c’è la cosa, c’è la fotocopia di quello che io avevo, non so se l’ha vista. C’è... gli inglesi che hanno detto: “Qualsiasi cosa succeda noi vi ricompensiamo”, e l’avevano scritto loro. Allora io avevo questa lettera allora ho detto: “Quando arrivano guardate che sono questi qui, non sparate, non sparate perché sono tre partigiani che vengono a sabotare il ponte”. Allora va bene, è andata bene e io quel giorno sono stata lì, anche il giorno dopo, perché io ci mettevo più di una giornata andare giù, andare da Baiso a Soliera... io l’ho segnato sul libro per ricordarmi dov’è ma... a Cortile, a Cortile di... dopo Campogalliano. Sono andata giù per i fossi, andavo sempre giù dietro il canale finché andava giù, perché da quelle parti lì poi dopo passato Modena, Rubiera, insomma lì... è lunga da raccontare. Niente però sono arrivata a dare la lettera. E così poi sono arrivati giù loro il giorno dopo con la macchina perché se arrivavano questi tedeschi arrivavano in un’azienda in campagna, molto all’aperto in una casupola, però arrivavano tre tedeschi era la prima cosa che facevano i partigiani ammazzarli. Eh perché dicevano: “Cosa vengono a fare quelli là vengono a prender noi”, allora avrebbero fatto... li avrebbero ammazzati. Niente, poi è finita che è andata bene perché loro sono arrivati bene, hanno aspettato la notte, hanno messo le bombe, infatti il treno è deragliato. E sono stati tutta la notte vicino al ponte perché poi i partigiani ci hanno portato nei posti giusti, perché se no, se non avevano l’appoggio di qualcuno non potevano fare niente loro. Se non avessero avuto l’appoggio... Ma sì, facevano qualcosa, però erano in pericolo, invece così sono andati al ponte giusto per mettere queste mine e poi fino alle cinque del mattino non è arrivato il convoglio, ma è arrivato e allora... Hanno detto che hanno ammazzato parecchia gente, cioè hanno deragliato sei o sette che erano carichi di munizioni. Così è andata bene e dopo due giorni sono arrivati su a Secchio brillanti che hanno fatto una bella azione.
Hanno deciso di venire ad Albinea. E lì allora ho dovuto correre tanto su e giù perché loro dovevano, avevano sempre qualcosa da organizzare. Erano tanti, poi dopo avevano, avevano... i russi. Quelli di Modena avevano i russi da organizzare, avevano il battaglione... Insomma c’eravamo in tanti quando siamo arrivati lì al Lupo. Siamo partiti da Secchio una notte e siamo arrivati quasi giorno a Valestra. Poi a Valestra siamo stati lì. Siamo stati lì, siamo stati lì un giorno poi alla sera siamo ripartiti, alle due e mezza eravamo al Lupo. Che quando siamo partiti da Valestra quasi quasi eravamo sulla strada da Casina, Albinea si vedeva ancora il serpentone perché c’era tanta di quella gente, tra gli inglesi, i paracadutisti, i gufi neri, tutti quelli lì del comando unico, guardi c’eravamo in tanti che dico io. E dopo siamo stati tutto il giorno lì poi la sera dopo, verso mezzanotte, sono partiti i ragazzi e sono andati, sono andati giù all’attacco. Cominciato a sparare e poi c’era la cornamusa che suonava perché loro, loro dicono che quando vanno in combattimento gli inglesi sparano insomma, cioè suonano la cornamusa. Poi dopo e dopo Kiss ha detto, io non mi ricordo in quante c’eravamo ma qualcuno c’era, io e un'altra ragazzina anche lei magrettina piccolina lì anche lei, di Villa Minozzo, e ci ha detto Kiss: “Dunque, voi avete l’incarico domani di andare a vedere se ci sono dei feriti, perché se ci abbiamo dei feriti qualcuno deve recuperarli”. Allora niente poi il mattino noi, appena si è fatto un po’ giorno, abbiamo detto: “Adesso cosa facciamo?”, non c’era anima viva in giro, nessun partigiano era tornato indietro, nessuno da lì si vede che tutti erano scappati ma tutti da tutte le parti. Allora abbiamo cominciato subito e abbiamo detto: “Mah ce ne sarà o non ce ne sarà dei feriti?”. Eravamo in tutta la casa a vedere se c’erano dei feriti, infatti poi c’era un inglese che aveva una pallottola nel ginocchio dentro un carro di letame con della paglia sopra e aspettava che venisse sera per spostarsi e che qualcuno andasse a cercarlo. I due feriti, l’inglese e Gordon, li hanno messi in una casa di un fabbro, una specie di officina, li hanno tenuti lì poi hanno cominciato a spostarli sempre di notte a spostarli un pochino. E poi loro li hanno portati a Palanzano nel parmense e poi sono venuti con l’elicottero a prenderli e li portavano a Firenze. E questo ragazzo, questo ragazzo, eravamo solo noi due e questa famiglia che aveva dentro il carro questo uomo che avevano portato lì dei partigiani e l’hanno lasciato lì. E dice, noi siamo, noi cerchiamo dei feriti e loro han detto noi ne abbiamo uno. Dopo quando è stato sera, quando è stata quasi sera hanno detto noi vi portiamo su a Casola, che c’era la strada tra Casina e Albinea, e c’era proprio un dosso perché poi lì finiva la cresta della montagna e poi si andava giù perché si andava in fondo al fosso e poi si andava su a Valestra ma era tutta roba di chilometri e chilometri. “E’ questo qui? Va bene”. Noi andiamo su, lui aveva due mucche con questo carro. Quando siamo proprio sulla strada proprio nella cosa, i tedeschi che erano nel rastrellamento a Baiso ci hanno sparato. Cominciavano le pallottole a destra e a sinistra. Questo uomo ha preso su il bastone davanti che teneva il carro del letame e l’ha lasciato andare giù per terra e poi via che è scappato via con le mucche lui, no. E noi siamo rimasti lì con sto ragazzo, poi ha detto che ha fatto degli urli perché sai con la pallottola proprio dentro il ginocchio chissà che male. Poi dopo abbiamo aspettato che qualcuno nella serata ci è tornato a prendere. Adesso poi non mi ricordo bene, so che siamo andati a dormire poi in fondo al fosso ed è tornato qualcuno a prenderci, ma eravamo lì con questo qui, l’unico che abbiamo, come ferito abbiamo recuperato quello lì. E gli altri più gravi erano andati, che erano poi due... due capi diciamo... il capitano Ulisse e Gordon.
Poi siccome nel ’44, era poi del ’44, era il settembre del ’44 che io sono andata là, che sono andata a Como. Io e una mia amica siamo andate a Milano a piedi. Un giorno siamo arrivate a Piacenza e l’altro giorno siamo arrivate a Milano e siamo andate a trovare mio fratello perché non si sapeva più niente, non arrivava la posta su, che io poi ogni tanto portavo su anche la posta quando arrivavo a Reggio per i miei lavori portavo anche la posta di Marola. E allora siamo arrivate e i miei genitori hanno detto: “Ma dio, ma è tanto lontano”. Niente siamo partite a piedi da Marola e siamo arrivate a Milano in due giorni. Dopo a Milano invece abbiamo preso il treno e siamo andate a Como. Poi lì è stata una bella cosa perché un signore ci ha chiesto dove, dove andavamo e abbiamo detto che andavamo a trovare i nostri fratelli perché era tanto che non scrivevano e non sapevamo niente, ma noi andavamo anche con l’intenzione di dire che dovevano scappare, perché di quei periodi fra i rastrellamenti, fra che portavano via gli ebrei, portavano via tutti quelli che trovavano, specialmente quei ragazzi lì li portavano tutti in Germania. Allora... allora lui ha detto: “Brr, dove hai dormito?”, “Beh, in stazione”, “Ma la stazione la chiudono”, “Beh dormiremo in rifugio”, “Non ci sono i rifugi a Como perché è una città libera che non ci bombardano”. E vabbé chissà cosa avremmo pensato, non avremo detto niente noi poi perché che cosa dovevamo dire? Allora lui ha detto niente, poi ha detto: “Venite con me”. Poi ci ha fatto il biglietto per il traghetto... E’ stata una persona, guardi un angelo proprio, che ci ha fatto tutto l’itinerario per andare proprio dall’altra parte da Como proprio in fondo a Pizzo di Trona, proprio proprio ai confini non so neanche dove finiva il lago secondo me. Allora lui ci ha portato vicino ad un bel cancello, ha suonato, è venuta una suora ci ha detto: “Dovete dare ospitalità a queste due ragazze, vanno a trovare i loro fratelli militari”, e loro poverette ci hanno dato da dormire. E poi dice: “Loro domani mattina devono essere alle otto là al battello così”, e infatti loro sono state carinissime, ci hanno fatto prendere il battello la mattina alle otto. Siamo arrivate a mezzogiorno al paese là, che il battello andava piano magari ma per tutti questi paesini... Siamo arrivate a mezzogiorno e tornavano proprio da un rastrellamento i militari, erano i fascisti non so neanche, erano repubblichini? Come si chiamavano repubblichini allora. Quando siamo state là c’erano tutti e non c’era mio fratello. Io ero disperata. Dicevo: “Ma dov’è mio fratello?”, io nella mia testa pensavo già che lo avessero ammazzato in montagna, invece e invece no. Mio fratello non andava ai rastrellamenti, lui faceva il calzolaio o il magazziniere, faceva qualcosa pur di non andare fuori con i militari. Lui faceva tutto di lavoro. Niente, allora l’ho trovato e stava bene allora gli dicevo: “Guarda che dovete venire a casa, ci sono i partigiani poi vi ammazzano. O vi ammazzano qui o vi ammazzano là, perché dopo vi considerano della gente che avete fatto del male insomma dovete venire a casa”. Allora erano talmente impauriti, si vede che gli dovevano fare il lavaggio del cervello perché dovevano fare i cattivi, dovevano prendere magari prendere della gente, non so, ammazzare della gente, non so cosa dovevano fare sti’ ragazzi, erano impauriti. Poi niente, dice: “Non possiamo scappare, come facciamo a scappare?”. E’ finita così, noi siamo tornate a casa. Poi li hanno portati a Cento di Ferrara per fortuna, si vede che avevano più bisogno di militari qui giù e allora li hanno portati a Cento. Allora lì, ho preso la bicicletta piena di vestiti e gli ho portato i vestiti e allora poi è riuscito a scappare. Sono scappati tutti i ragazzi di Marola, erano sei. Sono riusciti a venire a casa, scappavano due per volta, si vestivano da borghese e poi scappavano. Sempre di notte anche loro, perché si viaggiava sempre di notte, perché sa, o i tedeschi o i fascisti o questo o quest’altro ti trovavano e ti prendevano.
Il 25 aprile noi siamo venuti giù da Baiso, siamo andati, ci siamo fermati dall’avvocato Grandi, che era poi il grande complice a Viano, ci aveva preparato un bel pranzo a tutti noi del gufo nero e a quelli che c’erano, agli inglesi, c’eravamo in tanti. Poi, prima che finissimo di mangiare mi hanno mandato già avanti, vai a vedere, vai a se possiamo partire, perché ormai... Sì però si sentiva sparare, sparavano ancora tanto era ancora il tempo dei tedeschi o dei fascisti che erano ancora in giro tutti armati e allora volevano fare resistenza. Allora c’era paura. E noi abbiamo mangiato lì, poi dopo io sono partita, infatti i ragazzi ci sono qui nella fotografia ma io non ci sono, quando sono arrivati a Scandiano, io non ci sono perché io ero avanti a vedere se c’era del pericolo allora tornavo indietro, ma se non c’era niente allora non ero tornata indietro e loro potevano venire, andare avanti anche loro, venire qui giù. Poi siamo arrivati al pomeriggio, io so che siamo arrivati al pomeriggio verso sera, perché da Viano a piedi siamo passati qui dal Buco del Signore. Poi siamo arrivati a Reggio tutti allegri. Perché era finita. Della paura e dell’emozioni, tante. Quando siamo arrivati a Reggio è stata una cosa talmente bella ... io non so se la gente pensava che fosse finita o se c’era ancora da pensare che la guerra non era ancora finita, però la gioia di tutti deve essere stata grande come la mia e come quella di tanti, ecco. Solo che noi, io e mia sorella il giorno dopo siamo andate via subito che mia sorella era un anno che non vedeva mia madre, neanche mio padre, io e mio fratello, io sempre, ma io e mio fratello, quello più vecchio eravamo andati una volta almeno a 10 km per incontrarla che lei aveva paura a venire a casa. Sai era troppo conosciuta, ormai sapevano tutti che era là allora lei aveva paura e non veniva, sempre per la paura che qualcuno la prendesse così, non veniva mai a casa. E così il giorno dopo finta la guerra siamo andate a casa subito e da lì poi è finita per noi, noi non siamo più andate a destra e sinistra, noi siamo andate subito a lavorare a casa a cercare di... Poi dopo è venuto subito maggio, siamo andate in Piemonte al riso e così poi abbiamo lavorato e mia sorella poi ad andare alla fine dell’anno si è sposata. Noi poi non abbiamo saputo più niente della guerra e della Resistenza, noi l’abbiamo finita lì noi. Infatti lui mi dice che hai una tessera, io non sapevo, probabilmente c’era. Proprio perché poi dopo noi eravamo anche tranquilli, ormai i nostri erano a casa, c’era solo che non c’erano soldi, non c’era niente di niente. Allora lì bisognava veramente cominciare a lavorare a fare qualcosa. Mia sorella doveva sposarsi e non avevamo niente anche di corredo.
Io guardi giuro proprio, adesso mia sorella avrà vissuto un po’ peggio perché a star sempre là con questi ragazzi così... ma secondo me le volevano tutti un bene da chissà perché so che quando veniva lì a Maro d’estate l’andavano sempre tutti a trovare tutti quei ragazzi così che lei conosceva. Perché lei è andata sposata a Genova però siccome aveva la casa lì in montagna, lì a Maro, nel paese, allora, siccome lei era nella formazione di suo marito, che lui era anche comandante e allora andavano a trovarli tanta gente, non stava male, le volevano bene. Allora c’era un rispetto secondo me per le ragazze che noi che eravamo lì così, io quando arrivavo su, venivano tutti questi ragazzi di Reggio, sembrava che... “Ma hai visto i miei?”. Tutti a sentire qualcosa quello che c’era, secondo me gli portavo la vita io che ero piccolina lì, una mezza zingara perché sai vestita un po’ com’ero e sempre sporca sempre... senza modi di dire perché oh, ti lavavi nel fosso quando ti fermavi da qualche parte, anche ci bevevi, anche nel fosso, delle volte avevi una sete da morire, solo che trovavi in un buchetto un po’ d’acqua... basta bere. Io dico che siamo nati già vecchi, però è stato un crescere, crescere di continuo perché quello di oggi forse te lo scordavi ma pensavi c’è il domani, domani cosa faccio e poi dopo ma adesso queste cose non me le posso scordare... Avevi sempre il tuo cervello che lavorava, lavorava, lavorava.Secondo me io dico ecco partivo da Reggio e cominciavo a pensare, poi tute queste cose, queste cose, quelle che non avevo scritto... poi arrivavo ad Albinea dove cominciavo a ripensare, tanto per dire, poi arrivavo a Casina dovevo ancora pensare che non mi dimenticassi qualcosa e così. Così arrivavo su, una giornata mi ci voleva per arrivare a Secchio. Comunque secondo me le donne hanno dato tanto aiuto, perché come facevano a sapere questi ragazzi quando succedeva qualcosa, se non c’erano queste donne che potevano correre qui o là... si adoperavano anche i bambini, prendevano i bimbi magari e dai corri là, vai a dire ai partigiani che scappino che ci sono i tedeschi, così. Si usava tutto allora. Però secondo me le donne sono state importanti ecco. Non perché c’ero io perché io mi tengo un po’ fuori, come è finita per me è finita, come è finita per mia sorella. Anche per dire, anche mio marito era un partigiano però lui era su era... però lui lo faceva lì da casa, era con Casoli quello di Berzana. Anche lui poi finita la guerra è finito tutto lui è tornato a casa sua ma lui stava già a casa sua, faceva quello che facevano i partigiani lì, insomma stavano attenti di scappare quando era ora, facevano quello che potevano. Però per portare certi documenti, certe cose importanti ci voleva proprio della gente che avesse voglia di correre, che non avevi neanche la bicicletta perché dove andavi? Andavi così senza niente per le strade così. Quando avevi delle persone da portare su a seconda dove le prendevi.
Giovanna Quadreri (1928 - 2022)
pseudonimo
Giorgio, Libertá
Resistenza
1944 - 1945: Carpineti (Italia)
Armed Resistance, Unarmed Resistance, Partisan
gruppi di resistenza
284° Brigata Fiamme Verdi »Italo«, Special Unit »Gufo Nero«
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Original interview language (Italian)