Io mi chiamo Bertacchini Francesco e sono nato a Reggio Emilia il 24 giugno del 1926. Quel periodo lì è stato un periodaccio perché non potevamo andare da nessuna parte perché eravamo controllati da tutte le parti e quindi dava fastidio; tra l’altro avevamo in compagnia un certo Benito, che era il figlio di Benito Foscato, il fascista più cattivo e più prepotente della via Dante Zanichelli, lì lungo il Crostolo dove siamo venuti su da ragazzi, e quindi dovevamo stare sempre attenti a quello che si diceva o a quello che si parlava perché dopo lui lo andava a riferire a suo padre e dopo suo padre ci mandava a chiamare in sede, insomma era una vita da cani che non si poteva mica sempre frequentare. Tanto è vero che una bella giornata viene a casa vestito da fascista e subito sembrava che fosse dalla nostra parte e quindi si diceva, noi non esprimevamo la nostra idea perché sapevamo che lui era un soggetto che ci dava sempre ragione però in fondo in fondo andava sempre a dirlo al padre quello che avevamo detto o quello che avevamo fatto e difatti dopo si è rivelato che è andato volontario nella Brigata Nera: per noi è stato un colpo perché potevamo essere anche presi e messi in carcere perché con un soggetto così non ci si poteva mica fidare.
E invece per l’armistizio mi ricordo che di fronte a casa nostra, vicino alla strada c’era un muretto e in quel muretto lì ci fermavamo a fare delle chiacchiere; mi ricordo che in casa mia mia sorella, quando verso le cinque hanno dato quella notizia lì che la guerra era finita, mi gridò dalla finestra “Veh Francesco! Hanno detto per radio adesso che è finita la guerra però ci sarà da discutere con i tedeschi…” Allora sono andato su perché la radio l’avevo solo io nel nostro casermone, allora sono andato a sentire: però appunto avevano detto che avevano fatto l’armistizio con gli americani e quindi la cosa della guerra doveva essere finita, e invece era cominciata specialmente anche per noi.
Allora via Dante, via Dalmazia o via Dante Zanichelli è diventata una cosa isolata perché ognuno è andato ad abitare fuori dalla città perché il bombardamento era sempre continuo: tanto è vero che una sera io, Armando e Orvillo, quello che ho in fotografia, alla sera ci trovavamo all’Ariosto perché alle otto veniva il coprifuoco e poi si andava un po’ da una parte e un po’ dall’altra, allora abbiamo fatto amicizia con il custode della GIL che si chiamava Bonacini perché Orvillo, che era il terzo amico che eravamo come fratelli, faceva l’autista lì dentro alla GIL. Allora abbiamo iniziato a frequentare e alla sera quando suonava l’allarme noi andavamo lì dentro alla GIL a passare la sera, a fare la partita, a stare in compagnia e quindi nessuno poteva venirci a disturbare, sebbene era diventata una caserma. Era una caserma dove c’era non la Brigata Nera ma eravamo le Fiamme Verdi… Insomma ai Giovani fascisti davano un altro nome che adesso non mi ricordo, per loro era la sua caserma però noi non ci disturbavano perché sapevano che andavamo in casa di Felice, lui poveretto viveva lì come custode e non ci andava mai nessuno e noi avevamo la possibilità di stare lì fino a mezzanotte e poi dopo pian pianino attraversando il fiume dalla GIL andavamo a casa senza paura di essere presi da qualche pattuglia di fascisti. Fintanto che lì lo zio di Armando una giornata ci ha detto “Veh se volete andare a fare un giro dove si trovano i ribelli io vi insegno una strada”. E difatti ci ha insegnato… Noi abbiamo detto beh adesso ne parleremo, si cominciava a parlare “Mah c’è stato un rastrellamento in montagna, hanno trovato dei ribelli, hanno fatto qua, hanno fatto là…” Si cominciava ad essere ancora più disturbati perché cominciavamo a diventare già adulti e fin lì potevamo anche darci fastidio a quei fascisti lì; è così che abbiamo combinato una volta di andare a fare un giro e quel giro lì lo abbiamo sempre rimandato perché le chiacchiere erano tante però non si vedeva niente. E abbiamo deciso una domenica di andare dallo zio di Pancio e ci ha insegnato la strada. Più che una strada è stato un calvario perché lui ci ha insegnato di andare a Sole di Vetto: lì c’era un negoziante di legno. A sentire lui ad andare fino a Sole di Vetto la strada era pulita, la strada era libera e noi potevamo andare là e dopo quello là ci insegnava ad andare nei ribelli. Invece è stato un fiasco perché quando siamo arrivati a Compiano abbiamo trovato un pattuglione che controllava la strada e siamo dovuti scappare di là dal fiume: siamo andati poi a Scurano e di lì abbiamo rotto tutto il nostro itinerario di andare a fare un giro in montagna, a fare una gita che non è poi risultata una gita, dopo è risultata un tremendo traffico che siamo arrivati che non avevamo più né soldi, né roba e non trovavamo più nessuno che ci potesse aiutare. Abbiamo lasciato la bicicletta lì a Compiano perché ormai eravamo nella zona che potevamo anche trovare… Allora a piedi facciamo la curva lì di Buvolo e vediamo sul ponte che c’è un mucchio di gente a sedere e allora ci siamo guardati e ci siamo detti “Secondo me quella lì non è mica gente… Quelli lì sono militari o fascisti!” e difatti qualche d’uno che era a sedere sul ponte hanno iniziato a saltare giù per prepararsi a ricevere. Allora abbiamo pensato senza fare tanto rumore di voltare e poi andare giù nell’Enza e attraversare e siamo andati verso Scurano. Mentre si va vicino al paese c’è della gente che scappa e allora gli abbiamo detto “Cosa è successo?” e dice “Sono arrivati i tedeschi in paese!” Porca miseria! C’era un uomo lì e gli abbiamo chiesto “Ma la strada più sicura?” e lui ci ha detto “Io vado al cimitero”, allora siamo andati anche noi al cimitero, abbiamo atteso un po’ poi non si sente niente e lui si prende su e va via, si vede che andava a casa. Noi abbiamo deciso, non conoscendo il posto, allora stiamo qua stasera poi domattina si vedrà e difatti alla mattina all’alba abbiamo cominciato a partire e tenendo fuori mano la strada o i paesi siamo andati pian pianino fino su. Abbiamo trovato Nironi, Vairo, Palanzano, insomma tutti i paesi del parmigiano e allora si chiedeva sempre “Ma sapete dove sono?” “No no qua non si sa niente, non si vede niente, qua non sappiamo neanche cosa sono i ribelli!”. Niente allora pian pianino andiamo sempre su, sempre più disperati perché abbiamo perso… Avevamo qualche soldino in tasca però un lavoro da far morire dal ridere, e là si arriva alla sera e c’è sempre il problema di cercare da dormire da qualche contadino ma sempre anche la paura di andare da qualche parte mentre che dormi nella stalla possono arrivare i fascisti a prenderti. Fintanto che siamo arrivati su vicino a Corniglio troviamo una signora lì davanti a casa che stava facendo la lana, la maglia, allora le abbiamo detto “Signora, noi cerchiamo i partigiani, cerchiamo i ribelli…” Perché loro i partigiani non sapevano neanche chi fossero ma neanche noi sapevamo il nome, e allora mi fa “Guardate, io vi posso solo suggerire che in quella casa lassù c’è un signore con delle persone però non so cosa sono, se operai, non operai… Se voialtri domani volete andare a fare un giretto potete andare a vedere”. E difatti siamo andati lassù ed era una squadra di ribelli che erano mantenuti da quel signore lì e allora gli abbiamo detto che volevamo… E allora dice “Va bene state qua”. Allora ci hanno detto “Se volete venire fuori con noi di pattuglia, altrimenti se volete aspettare…” Gli abbiamo detto “No andiamo” e difatti siamo andati di pattuglia: una squadra da una parte, una squadra dall’altro; quando siamo rientrati una stalla, che non era una stalla era adibita a caserma, c’era un bel tavolo con del burro, del formaggio, ogni ben di dio. C’era una donna che stava facendo le tagliatelle per tutta la squadra… Oh che lavoro! Era un po’ che non si mangiavano, ma neanche a casa mia le mangiavamo. Lì mangiamo, dopo pranzo quando si rientrava ancora di pattuglia c’era il caposquadra che diceva “Adesso andate nelle case dove ci sono delle ragazze che le invitiamo a venire qua a fare due chiacchiere, a ballare…” allora via, si andava da una parte, dall’altra e venivano quelle ragazze lì e allora si stava a chiacchierare, a fare due balli perché anche lì c’era la radio e quindi si andava bene. Per quattro o cinque giorni la cosa andava bene: si andava in pattuglia poi si rientrava verso mezzogiorno e una bella mattina il caporale ci fa “Allora ragazzi andiamo bene?” io ho detto “Io sono venuto in un posto che per me migliore non c’è”; salta su Pancio che mi era di fianco e mi fa “No io quando trovo dei partigiani comunisti…” “Cosa hai detto?” “Se trovo dei partigiani comunisti io ci vado”. Gli ho dato un colpo in un fianco e poi siamo arrivati a casa e dopo il caporale è andato dal capo a dirgli le nostre intenzioni. E’ venuto fuori, ci ha chiamato e ha detto “Andate dal capo…” Io gli ho detto “Armando ma pensa, abbiamo tribolato a cercarli e adesso che li abbiamo trovati stavamo bene, si mangiava, ci si divertiva, ma si può fare un lavoro così?” Difatti andiamo dentro “Eh voialtri vi conviene andare nella vostra zona perché noi non abbiamo neanche le armi e quindi vi conviene andare nella zona di Succiso che là ci sono i partigiani”. Allora andiamo pian pianino e col battibecco che ho fatto con Pancio “Ma dai avevamo trovato la fortuna, adesso siamo qua nella miseria…” “Ma vedrai che adesso…” Va beh pian pianino siamo partiti, non ci hanno neanche dato da mangiare a mezzogiorno: siamo partiti e siamo venuti verso le nostre zone e siamo arrivati la mattina verso le dieci, le undici, l’orario era quello lì. Pioveva, era una brutta giornata, eravamo sempre lì a battibeccarci a vicenda per la faccenda che eravamo ancora al punto di prima; passiamo davanti ad una buca dove ci buttavano l’immondizia e abbiamo detto si vede che c’è il paese qua vicino e ci buttano l’immondizia, e allora vedo là in fondo che c’è nell’immondizia una specie di cappello da alpino. Erano quei cappelli che quando si andava a fare il militare c’era il balilla, l’avanguardista: l’avanguardista aveva il cappello come gli alpini allora sono andato giù, l’ho preso, l’ho pulito un po’ poi me lo sono messo in testa, pioveva e via… Arriviamo a Succiso. Come arriviamo nella zona di Succiso qualche donna che era intorno al paese… Son spariti tutti porca miseria! Non ci abbiamo fatto caso però sono andato dentro all’osteria di Torri e gli ho detto: “Ci sono i partigiani da queste parti? e lui mi ha risposto “No di partigiani non ce n’è, qua non c’è niente!” “Ma c’era qualche donna…” “Sono andate via, sono andate a far la spesa”. Stiamo lì un po’ per vedere se arriva qualcuno ma non arriva nessuno, stiamo là in mezzo a un deserto anche se era un paesino: niente, non si vede niente allora ci siamo messi vicino alla pioppa e abbiamo detto “Adesso qua parliamo un po’: allora non abbiamo più soldi, piove, non sappiamo dove sono i partigiani, qua non ci dicono niente, adesso come facciamo? Andiamo a casa che a casa non possiamo più andarci?” Lui mi tranquillizzava sempre, era più vecchio di me, era del ‘24 e io del ‘26, “Vedrai che qua…vedrai che là…” Niente, ho tirato fuori il portafoglio e poi ho trovato la carta d’identità, l’ho guardato e gli ho detto “Ecco, qua tutta la nostra piena volontà di andare a trovare i ribelli è qua” e poi ho strappato la carta d’identità. E mi fa perché? “Perché oramai cosa credi che andiamo a casa a fare vedere che noi abbiamo la carta d’identità? Vacci, conoscono già che noi abbiamo fatto un giretto per vedere come non è! L’ho strappata e non se ne parla più” poi mi sono messo lì contro la pioppa, mi è venuto da piangere che sembravo un bambino di due anni. Tutto il giorno è stato così perché non avevamo neanche i soldi per andare a comprare qualcosa, a parte che non si trovava niente, fintanto verso sera vero la mulattiera, verso il bosco, si vede uno che viene avanti. E’ uno che ci avevo portato la radio, abitava a Gavasseto e mi fa “Ma te sei il ragazzo di Magnani! Mi sei venuto a montare la radio ti ricordi? Abito a Gavasseto” “Ah si mi ricordo!” Via, carica tutta la truppa e siamo andati… Erano alle Capanne di Succiso loro. Dopo pranzo hanno diviso il distaccamento e mi dividono dal mio amico, da Pancio, allora gli ho detto “Te dove vai?” “Eh mi hanno messo qua e te vai nel “Cervi” “No no facciamo in modo di stare insieme siamo come due fratelli e non possiamo stare qua divisi” con della gente che non conoscevamo, appena appena così di vista. Allora sono andato là da Mario, l’altro giorno l’ho visto in fotografia, gli ho detto “Guarda…” perché "Sbafi" è il comandante e "Mario" il commissario, “Guardate siamo come due fratelli, metteteci insieme perché così non andiamo” dice “Non ci sono problemi, volete andare là o qua” “Si mettici dove vuoi però assieme” e difatti ci siamo messi nel “Cervi”, poi dopo prima di sera hanno detto “Adesso vi spostate che dopo andrete sul valico del Cerreto a chiudere la strada”.
Dopo ci hanno inquadrati e poi da lì siamo andati fino al valico del Cerreto a chiudere la strada perché il traffico era diventato grosso e i tedeschi cominciavano a dar fastidio a tutta la strada del Cerreto: facendo da Aulla a Castelnovo Monti era sempre un traffico continuo di tedeschi con dei carri, con dei carri armati, con delle macchine. E’ così che abbiamo deciso di disturbarli perché per noi era già una zona che non potevamo stare tranquilli; il cambio eravamo d’accordo di essere una volta alla settimana invece era da quasi venti giorni che il cambio non arrivava. Vivere nel bosco senza poter coprirsi, senza andare in un posto sicuro, perché si viveva dentro al bosco e la pattuglia che era di servizio era sempre all’erta sul Passo e quindi poteva arrivare qualsiasi cosa da poterci disturbare. Era già un po’ di tempo che non ci lasciavano stare allora abbiamo cominciato a lamentarci con il comando che ci dessero il cambio perché cominciavamo già ad ammalarci tutti quanti: perché alla fine di settembre in quei periodi là c’era la nebbia e cominciava a nevicare, ai primi di ottobre nevicava sempre e quindi dormire nei boschi e fare la pattuglia sulla strada non era mica tanto bello. Ci siamo lamentati fortemente con il comando: è venuto il distaccamento del “Piccinini” che era comandato da "Gek" e ci è venuto a dare il cambio. Siccome era un’influenza passeggera mi hanno dato il via andare ancora al mio distaccamento. Il mio distaccamento non l’ho più trovato perché dovevano essere vicini a Legoreccio: erano andati a riposarsi, era una zona tranquilla e sicura. Quando siamo arrivati lì però, eravamo in due, il distaccamento era andato dalla parte del parmigiano: non trovando ancora il mio distaccamento abbiamo cercato di andare al distaccamento più vicino, quel distaccamento lì che si chiamava “Antifascista”. Allora abbiamo detto va bene stiamo qua fintanto che rientra il nostro distaccamento, che era il “Cervi”, e poi dopo ne parleremo. Abbiamo fatto amicizia nel distaccamento dell’”Antifascista” e per me era un distaccamento che mi piaceva perché eravamo affiatati con tutti e quindi era una cosa che mi stava bene. Fintanto che abbiamo incontrato ancora il “Cervi” allora io con Pancio, allora si era messo quel nome lì, gli ho detto “Pancio vieni con noi che qua si sta bene, si sta meglio” perché là pativamo fame invece qua ce n’era da mangiare: era anche una zona più ricca, c’erano più contadini invece là c’erano solo boschi e niente altro. E mi fa “No, sto bene qua anch’io e quindi Ne parleremo”. Dopo il parlare l’abbiamo trascurato e dopo è successo quello che è successo al distaccamento “Cervi”, che l’hanno massacrato: come è stato circondato e si sono arresi li hanno uccisi tutti quanti. Per noi anche quel periodo lì è stata una delusione che eravamo proprio giù di morale, che se non c’era da provvedere a qualche rimedio la faccenda si metteva male. Senz’altro qua alla commemorazione del 17, che sarà poi il 21 perché si fa sempre alla domenica, vado a fare un giretto a vedere la fine del distaccamento “Cervi”. Però io posso sempre dire che sono stato fortunato nel distaccamento lì perché due o tre volte c’è stata la combinazione e c’è sempre stata la cosa che mi è andata bene.
La Bruna è un’altra staffetta che anche lei mi ha aiutato a salvarmi. Dovevamo trovarci lì tra Barco, Bibbiano Montecchio e Cavriago, lì dove c’è la ferrovia: dovevamo trovarci lì a mezzanotte. Noi arriviamo alle undici e allora per non stare lì impalati c’è una casa di contadini un po’ più spostata allora abbiamo detto alla staffetta “Tu stai di guardia: noi andiamo a ripararci un po’, quando arrivano… Però stai attenta a chi sono!” e difatti arriva oramai vicino a mezzanotte, viene dentro e ci fa “Oh ragazzi! Ma quei partigiani che dovevano darci il cambio sono tutti vestiti di bianco e gli ho chiesto la parola d’ordine, non ce l’hanno data” “Come non te l’hanno data? Come mai?” Andiamo davanti alla porta della stalla e li abbiamo tutti lì davanti, un pattuglione di venti persone tutti schierati lì davanti: quando hanno capito che noi eravamo dentro la stalla hanno cominciato a dire “Venite fuori con le mani in alto! Venite fuori con le mani in alto!”. Avevamo la luce accesa e uno con il calcio del fucile ha rotto la lampadina per farci scuro: come è venuto a meno la luce hanno cominciato a spararci addosso così che hanno ucciso due mucche, un asino, uno si era levato le scarpe e non ha avuto tempo di trovare le scarpe e siamo scappati. Siamo scappati dall’altra parte della porta perché di qua ormai eravamo circondati; porta di ferro, mai stata aperta quella porta lì, allora con tre o quattro colpi siamo riusciti a forzarla di sotto. Allora via via, fuori fuori mentre loro sparavano, ma sparavano verso le mucche e noi facevamo in tempo. Quando siamo andati fuori, io sono rimasto l’ultimo e guardo dove sono: non li vedo più perché di dietro c’era il pollaio, allora ho guardato un po’, niente. Allora sono andato dietro il muro della stalla e ho sbagliato indirizzo diciamo, andavo verso la strada: come sono un po’ più avanti sento uno che dice “Vieni avanti con le mani in alto!” Porca miseria allora ho sbagliato … Allora gli ho dato una raffica intanto che si calmassero e ritorno indietro, sono andato ancora dentro al pollaio, sono andato dall’altra parte e di dietro c’era un fosso. Sono andato dentro al fosso, mi sono chinato per vedere un po’ com’era: allora sono andato avanti un po’ visto che andava verso il cimitero, ho fatto il giro del cimitero ma c’era la neve allora per non lasciare la traccia sono stato dentro al fosso che c’era l’acqua e di lì ho guardato per vedere pressappoco i miei dov’erano, non li vedevo più. Allora niente, ho cercato di attraversare il prato dietro il cimitero, poi sono andato un po’, ho trovato un altro fosso sempre pieno d’acqua, allora dentro al fosso per perdere la traccia dove andavo fintanto che sono arrivato in un altro capo però sentivo che oramai si erano dati appuntamento i tedeschi, si cominciava a sentire il galoppo dei cavalli, gira a destra, gira a sinistra, gridare da una parte… Allora cosa faccio qua? Ho detto adesso mi fermo. C’era un fosso vicino… allora erano alberi che sostenevano la vite, erano gli alberi di olmo, allora mi sono messo a sedere vicino all’olmo e poi vedevo pressappoco com’era. Ho cominciato a sentire l’orologio di Barco, l’orologio della chiesa di Barco: e l’una, l’una e mezza, le due… Sul fare del giorno ho cominciato a vedere pressappoco com’ero e ho visto una casina mica tanto distante: allora ho guardato a modo e poi ci sono andato vicino. Allora non c’erano i cani come adesso e quindi mi sono potuto avvicinare e andare davanti alla finestra: mentre guardo dentro la cucina c’è una vecchietta con il bastone che stava soffiando verso il fuoco per accendere il camino. Allora mi sono guardato intorno, poi pian pianino… Allora i contadini non chiudevano le porte come adesso, lasciavano la porta aperta per andare alla stalla. Allora sono andato davanti alla porta, sono andato dentro e ho iniziato a picchiarla e le ho detto “Nonna, nonna!” Come si è voltata ha preso paura e le è venuto male ed è caduta per terra perché era sopra uno sgabello. Allora cerco di tirarla su per metterla a sedere mentre viene giù la figlia “Cosa c’è? Cosa c’è?” Allora le ho detto “Guardate non c’è niente…” “Ma è fino adesso che si sente sparare, dei rumori, cosa c’è?” “Non c’è niente, adesso cerchiamo di sistemare la nonna poi si vedrà” perché avevo capelli lunghi, barba lunga, tutto bagnato dalla punta dei capelli ai piedi; avevo anche la roba gelata addosso perché stare tutta notte al freddo… Abbiamo aiutato la sua mamma a mettersi a posto e nel mentre viene giù il marito allora gli ho detto, abbiamo fatto un discorsino “Guardate se sono venuto in una casa simpatizzante a noi non succede niente quindi siamo a posto, se invece avete delle storie prima di me ci siete voi”. Lui mi ha detto“No no io sono un simpatizzante, sono uno che…” “Non c’è niente di male, sistemiamo un po’ la faccenda…” Allora ci siamo stretti lì e nel mentre si chiacchierava gli ho detto “Conoscete la Bruna?” la Bruna era la staffetta di Cavriago che dopo qualche giorno l’hanno presa e l’hanno torturata, gliene hanno fatte di tutti i colori. Fatto sta che mi hanno nascosto nel fienile, dopo mi hanno dato della roba da cambiarmi e poi mi hanno portato al rifugio: allora c’erano i rifugi nei campi. Mi hanno riportato nel rifugio mentre lui andava a Cavriago a chiamare la Bruna, e infatti me la sono vista arrivare e come l’ho vista mi sono sollevato: è venuta lì e mi ha detto che alle nove di sera passavano a prendermi e difatti mi sono trovato sul viottolo mentre sono arrivati quei partigiani lì e siamo arrivati fino a Gombio dove ero accampato. Lì avevo una morosina: sono andato nella stalla perché sapevo che quando veniva giù veniva giù nella stalla e come mi ha visto “Volpe! Volpe!” allora ci siamo abbracciati “C’era la chiacchiera che ti avevano preso, ti avevano ucciso…" invece è andato tutto bene e quindi siamo qua.
Il nome di battaglia l'abbiamo preso quando ci siamo aggregati lì al distaccamento “Antifascista” perché con il “Cervi” nessuno ci ha preso giù i dati, nessuno ci ha chiesto niente: lì hanno voluto i dati e i nomi di battaglia. Allora eravamo in tre, abbiamo aggregato a noi uno che abitava a Puianello, lavorava nel pastificio di Cuccolini; trovatevi un nome allora Pancio mi fa “Io mi voglio mettere un nome da guerrigliero: Pancio!” gli ho detto “Ma Pancio era era quel guerrigliero... Come si chiama? Beh insomma quel sudamericano... No no io vado più per il sottile” allora quell'altro mi fa “Lui Pancio e io mi metto nome Vipera! E io gli ho detto “perché Vipera te?” “perché mi fa paura...” “Te Vipera e io mi metto Volpe: vado forte, se c'è da correre vado forte e mi salvo”. E' così che è nata la storia di Volpe: poi anche perché ho detto non ce ne saranno tanti di Volpe e difatti ce n'era uno nel Rosselli che si chiamava Volpa e invece io no, Volpe, quello lì è stato e l'ho sempre tenuto. Poi c'erano molti che cambiavano da un posto all'altro, da una zona all'altra cambiavano anche nome di battaglia; io no, mi è andato bene quello lì e ho tenuto quello lì. Ma l'ho fatto con la cosa di andare forte, di scappare ‘perché allora non c'era tanto da tenere ferma la linea: è così che il nome Volpe è stato il nome, il primo e l'ultimo.
Due giorni prima dell'attraversamento dell'Enza arriva il comandante di battaglione che si chiamava "Cicci" e ci fa “Ragazzi noi credevamo che fosse la solita puntata dei soliti tedeschi e dei soliti fascisti ma invece abbiamo constatato che è un rastrellamento in grande stile che prende Ciano, Casina, Castelnovo Monti e Vetto e viene chiusa tutta la zona e ci sono un mucchio di forze che cercano di prenderci dentro al cerchio.” Lì si decide di proteggere tutti i partigiani che sono nella zona di Vetto, di Rosano, tutta quella zona lì e poi di portarci verso l'Enza che così quando è ora attraversiamo verso sera. E alla sera il capo ci ha detto, il comandante: “Ragazzi allora adesso dobbiamo fare una guardia proprio sicura perché abbiamo i tedeschi da tutte le parti e li vedete e quindi state con gli occhi aperti perché se ci capita di fare qualcosa o di uccidere qualche tedesco dopo bruciano il paese.” Allora verso le tre di notte diamo l'ordine di spostarci e ci vengono a dire di cominciare a muoversi perché ormai di partigiani in giro non ce ne sono più e quindi noi siamo la retroguardia e quindi andiamo via tranquilli; arrivano le staffette che erano andate fuori, hanno detto che la strada era libera allora via, ci siamo incamminati fino alla casa cantoniera, abbiamo guardato tanto da una parte che dall'altra, visto che non c'era niente, la nebbia era sempre fitta però quel tratto lì... Allora abbiamo attraversato e siamo andati dentro all'Enza: non c'era un bastoncino dove poterci nascondere, era tutta un lago di acqua e non c'era niente da potersi nascondere se andava via la nebbia e allora Mirko aveva nella sua squadra un partigiano in quella zona lì e mi fa, era un omone, gli davano anche un nome da persona grossa adesso non mi ricordo com'era, e allora mi fa “Dammi uno che venga con me che vado a casa mia a prendere una fune e poi con la fune” (perché la piena era alta). Arrivano con la fune, avevamo un cavallino bianco: con la corda la leghiamo vicino a quei gabbioni di sassi che tengono le rive del fiume. Da una parte la lega e noi la distendiamo e la legano vicino alla sella del cavallo, un cavallino bianco che poverino bisognava metterci un cavalletto sotto alla pancia dal gran che era magro, che stava in piedi perché aveva quattro piedi. Arriva con la corda tesa e ci fa segno di passare “Via via via!” e c'era ancora un po' di spazio dal cavallo a là, però eravamo già... Ma quando l'abbiamo passata avevamo l'acqua sulle spalle: io avevo il mitra da una parte e la corda dall'altra, allora avevano incominciato Mirko e quello là, ma come si chiamava Giovannone, insomma un nome così, “Via via ragazzi!”. Io sono uno dei primi e cominciamo a passare: sul più bello sparisce la nebbia, sembrava una cosa organizzata, va via quel pallone di nebbia che c'è sulla strada, si vede tutta la strada che va fino a Vetto. Come ci hanno visto, perché c'erano le pattuglie tedesche, come ci hanno visto che stavamo attraversando hanno cominciato ad aprire il fuoco, si sentivano le pallottole fischiare dentro l'acqua che sembrava una cosa... Siamo arrivati oltre il centro, là i parmigiani, c'era una postazione di partigiani, visto che stavamo attraversando, sparano i tedeschi e hanno cominciato a sparare anche questi somari qua e noi lì a gridare “Ragazzi fermatevi! Fermatevi! Siamo noi, siamo partigiani” e quando siamo arrivati alla riva, e gliel'ho detto ancora l'altro giorno quando abbiamo commemorato perché ne hanno uccisi quattro di partigiani. Continuavano lo stesso i partigiani a passare anche se quelli là sparavano perché non c'era altra via d'uscita: o essere uccisi dai tedeschi o essere annegati dall'acqua. Fatto sta che siamo riusciti a passare di là: quando il caporale di quella postazione è arrivato lì gli ho detto del somaro e lui ha detto “Io vi avevo preso per tedeschi”. “Ma pensi che i tedeschi vengono nell'acqua con noi a passare? Che siamo qua che lottiamo per tentare di passare tutti quanti con la piena che c'è?” Dopo noi siamo andati per nostro conto e loro sono andati per il suo, fatto sta che siamo riusciti a passare di là e siamo arrivati fino a Monte Caio: però lì giù pioveva sempre continuamente tutti i giorni, e andando su da acqua è diventata nevischio, da nevischio è diventata neve. Sul Monte Caio c'era un cresta che non siamo riusciti a passare dalla bufera che c'era, allora io e il figlio del comandante gli ho detto “Guarda Ettore io mi corico qua che sono riparato e non ci vedono da dove ci sono i tedeschi” e difatti siamo stati lì fino alla mattina. Alla mattina quando si è calmato tutto e cominciava a fare giorno ci siamo tolti la neve da dosso e poi abbiamo deciso di andare: siamo andati fino nel piacentino sul Monte Penice. Se voialtri guardate nella cartina Monte Penice... E poi dopo siamo ritornati indietro.
Quanto alla disciplina mi è capitato che aveva cominciato a farmi male un dente e allora vado a cercare un medico, eravamo su a Cerreto Alpi: vado a cercare il dottore e mi fa “Non ho la pinza per levare i denti di sotto”. A me faceva un male che non riuscivo né a dormire né a mangiare allora mi ha detto “Adesso mi occupo di questo attrezzo e poi ti faccio venire a levarlo”; per farmi togliere il male mi ha detto “Te adesso vai a trovare in paese una patata da qualche famiglia e dopo te la fai grattugiare e te la metti dove hai il male e vedrai che ti passa”. E difatti prima di andare di sentinella di notte ho fatto questo lavoro poi mi sono messo il fazzoletto e poi sono andato non proprio vicino alla strada ma un po' più riparato così da poter vedere chi veniva o chi andava; fatto sta che mi sono messo là a sedere a pensare ai miei casi, alla mia gioventù, alla mia famiglia che ho lasciato, a una storia e l'altra, si vede che la patata ha fatto effetto, erano già un paio di giorni che non stavo bene con quel male al dente e mi sono addormentato. C'era il comandate del “Cervi” che era Arturo Gambuzzi, c'era Trolli che era venuto lì per una riunione, c'erano altri due o tre caposquadra, sono andati a quell'albergo che c'è prima di arrivare sul valico del Cerreto, anche quello lì ce l'avevo a portata di mano, era un lavoro... Allora hanno finito la riunione e sono venuti in distaccamento: come sono arrivati all'inizio della mulattiera non li ho sentiti perché si vede che il sonno mi aveva preso bene. Hanno cominciato a gridare “Ma dov'è la sentinella? Ma dov'è la sentinella? Dovrebbe esserci la sentinella qua! Ma come mai non c'è? E' una zona da restare senza sentinella qua!?” fintanto che mi sono arrivati vicino e mi sono svegliato “Sono qua, mi fa male il dente...” “Va bene. Ne parleremo domattina”. Alla mattina una grande riunione... La Gabellina era il ristorante! Una riunione alla veloce per darmi la punizione perché non si poteva stare... Però anch'io dovevo dire non mi sento di fare la sentinella allora mi davano il cambio, ma l'autodisciplina che ci eravamo proposti di fare non mi dava la cosa di mandare un altro mio compagno di sentinella, era il mio turno e quindi lo dovevo fare. Allora lì hanno capito la situazione com'era: una giornata di palo. Hanno pulito una pianta appena fuori dove eravamo accampati, perché anche lì bisognava andare con i piedi di piombo, senza far rumore perché noi potevamo vedere la strada statale però si poteva anche sentire chi parlava di là. Fatto sta che mi mettono al palo tutta la giornata e quando è arrivata la sera tutti mi scanzonavano, tutti ridevano perché lasciarsi addormentare in un posto così pericoloso era una cosa che... Allora me la sono ricordata e quando c'era qualcosa preferenza di fare brutta figura verso i compagni non accettavo per la cosa di fare quello che effettivamente si doveva fare per essere tranquilli, perché quando eri di sentinella o di pattuglia dovevi fare il lavoro, dovevi fare effettivamente quello che si doveva fare, lasciar tranquillo il distaccamento.
A dire la verità il mese di aprile era una noia. Tutte le sere andavamo a sentire Radio Londra e la prima parola che dicevano “Noi stiamo facendo attività di pattuglia perché la zona non permette ancora di partire per la grande avanzata”. Quando è arrivato a casa il capo dal comando di battaglione ha detto “Ragazzi preparatevi che domani si parte!” “Come domani si parte? Dove si va?” “Domattina andiamo giù, andiamo a Reggio” “Ma và là…” “Si oramai siamo tutti in movimento. Domattina tutto il battaglione e tutta la nostra brigata si deve spostare e portare fino a Ciano”. Allora via, io di notte sicuramente non sono riuscito a dormire: o perlomeno stavi lì a fare un pisolino ma il sapere di andare giù era una cosa tanto emozionante che… Arriviamo a Ciano a tappe lente perché sapevamo che c’era lì il corpo antiribelli e sempre in allerta, sempre pronti, da tutte le parti dalle finestre potevano sparare… Niente siamo arrivati fino a Ciano e non abbiamo sparato un colpo; siamo arrivati dentro a Ciano e un deserto continuo, neanche la popolazione abbiamo visto. Visto che a Ciano non c’è niente, via andiamo, oramai era vicino a mezzogiorno Falco ci fa “Arriviamo fino all’incrocio di San Polo”, “Bon andiamo all’incrocio di San Polo”. Pian piano, alla distanza da uno all’altro di dieci metri perché poteva esserci sempre il pericolo continuo, e siamo arrivati fino alla chiesa. Siamo lì, c’è chi chiacchiera del più e del meno, le due mitraglie, un mitragliatore e una mitraglia piazzate lì: tutto in un momento si vede nella curva di Quattro Castella un’autoblinda: “Dai dai dai che sono i tedeschi! Dai dai dai che sono i tedeschi!” allora via ci prepariamo tutti quanti… Era un autoblindo con un nero sopra! Aveva un sigarone lungo così, là che lo fumava! Siamo arrivati lì, hanno visto che noi siamo partigiani allora si sono fermati, sono venuti giù, ci siamo abbracciati… Era poi un brasiliano quello lì, ha buttato il sigaro verso la riva del prato e io come ho visto zum! Vado a prenderlo, l’ho spento poi me lo sono messo lì perché noi fumavamo solo delle foglie di noce o foglie di ciliegio, e lui mi fa “No, no! Toh!” me ne ha dato uno e ha voluto che buttassi via quello là perché lo aveva adoperato lui. Dopo ci hanno dato un pezzo di cioccolata, allora “Come va? Come va?” e parlavano anche l’italiano. Tutta notte siamo stati lì e la mattina all’alba viene l’ordine: il distaccamento “Antifascista” di andare a Bibbiano perché dobbiamo occupare il paese di Bibbiano, e noi invece ci tenevamo ad andare verso Quattro Castella perché da Quattro Castella dopo c’era Roncolo e poi andavamo verso Reggio. E difatti a Bibbiano ci siamo stati: alla mattina arriviamo là, pian pianino, non c’è anima viva; allora cominciamo a fare un’altra postazione provvisoria. Da dietro gli alberi cominciano a saltare fuori i tedeschi tutti così con le mani in alto… Allora via lì vicino alle scuole, mi ricordo sempre che dopo ho lavorato dieci anni lì alla Coop Box da camionista… Saltavano fuori nascosti dagli alberi, si vede che tutti quelli che sono passati alla sera hanno cercato la fuga e si sono nascosti dietro agli alberi e difatti dietro ogni albero c’era un tedesco: allora noi con le armi “Via via, avanti! Venite qua, venite qua!”. Pian piano venivano con le mani in alto e li mettevano dentro alle scuole, che c’è proprio la scuola di fronte alla strada che va a Bibbiano. Falco mi fa “E’ venuto l’ordine di andare a Parma”: io e altri tre o quattro, oramai eravamo già tutti uniti nel nostro distaccamento, gli ho detto “Io a Parma non ci vado perché io vado a difendere la città di Reggio, non di Parma!” Avevo già l’odio con i partigiani parmigiani che ci hanno sparato addosso mentre attraversavamo il 6 di ottobre, e con i parmigiani non siamo mai stati buoni fratelli. Niente da fare: bisogna andare a Parma. La solita cosa, autodisciplina: ti hanno detto che noi bisogna che andiamo a Parma, e andiamo a Parma. Parti da Quattro Castella, devii la storia dei cavalli, arriviamo a Monticelli, da Monticelli andiamo fino a Parma: in fila indiana si guardava la campagna, bella… Non abbiamo sparato un colpo! C’era pulito, pulito pulito, non c’era né fascista, né tedesco, niente! Allora siamo arrivati alle porte di Parma, lì abbiamo trovato qualche pattuglia di partigiani, ci hanno detto che c’erano i tiratori scelti però c’era da stare attenti. Mentre siamo lì che guardiamo arriva, diciamo dalla parte di Reggio, una jeep di americani, in due: allora abbiamo fatto segno “Fermo, fermo!”, sono arrivati lì e gli abbiamo detto “C’è una postazione di tedeschi lì che ci dà fastidio”. Hanno voluto vedere un po’ come poteva essere e poi gli abbiamo dato l’indicazione giusta: uno si è voltato, ha messo la misura, ha messo dentro la bomba nel mortaio, è partito un “Cim cim tac!” è sparito, non si è più sentita gente. Si vede che ha centrato la postazione. Via, cominciamo a venir fuori, ad alzarci a vedere, non c’è più niente: abbiamo salutato i due americani, loro sono andati in centro e noi siamo saliti e siamo venuti fino a Reggio, siamo arrivati all’artiglieria a mezzanotte. Siamo là, sistemati un po’, viene dentro uno e dice “Cercano un Francesco! Chi è Francesco?” Allora io ho sentito perché ormai avevo già le orecchie piene di Volpe, era sempre Volpe che andava non Francesco, “C’è un uomo che cerca un Francesco!” Sono andato fuori, era mio padre: e siccome non siamo mai andati tanto d’accordo, perché è stato anche un po’, come dire, un padre padrone, allora come l’ho visto ci siamo abbracciati. “E’ tanto che ti cerco” mi diceva “E loro mi dicevano sì c’è, e io dicevo “No mi dite così perché è morto!” “Dai lascia perdere, siamo qua e via!” e poi mi ha detto “Adesso vado a casa, lo dico anche ai tuoi e poi così vieni poi a casa mangiare”. Sì andavo a casa a mangiare! Non ne avevano neanche per loro! E’ così che dopo la faccenda si è messa bene da qualche parte però ho lasciato mio padre e Falco mi ha detto “Prendi tre o quattro uomini e vai di pattuglia sulla via Emilia, e allora sono arrivato fino al mio principale perché ci tenevo anche con lui, allora era là davanti al negozio “Oh Francesco!” allora anche là abbracci di qua e di là. Dopo due minuti dice “Beh allora adesso bisogna che cerchiamo di lavorare perché dobbiamo…” “Porca miseria non sono neanche arrivato dentro! Va beh appena fatto il congedo vengo” e difatti qua il congedo e la mattina dopo sono andato in negozio. E’ così che abbiamo cominciato un’altra vita.
Quel giorno lì, penso che sia stato il 3 di maggio, abbiamo fatto la sfilata poi siamo andati in piazza. Ci hanno detto che c’era da consegnare le armi però dico la verità, a malincuore l’ho consegnata: era un bello Sten, lucido, pulito, lo tenevo come un fratello perché con quello lì dicevi tutto, non c’era bisogno di tenerla tanto lunga. L’ho dato volentieri anche perché volevo dimenticare quel periodo lì: era un periodo che ho fatto per iniziativa, una cosa spontanea, per mandare via i fascisti più che i tedeschi però basta, buttata via l’arma non ne parliamo più. E difatti dopo che sono andato a lavorare pensavo solo ad andare ai veglioni perché c’era da ballare, perché trovavamo le ragazze, perché andavamo da una parte e dall’altra però la storia… Mi hanno chiamato qualche volta in sezione per le riunioni e dico proprio la verità: non mi importava più niente. Mi hanno chiamato un’altra volta e non ci sono più andato. E dopo pian piano ho cominciato e poi già avevo il mio pensiero di andare a lavorare che è vero, però alla sera di andare a modo mio. Andavamo a ballare, non so tanto per dire, fino a Puianello, fino a Codemondo, fino giù alla Bassa, a ballare alle due, alle tre. Mio padre ogni tanto mi diceva “I locali chiudono a mezzanotte, ma dove state fino alle tre?” Stavamo a divertirci perché abbiamo passato un periodo che si parlava solo di guerra. Nel mio distaccamento, siccome io ero diventato il cantante del distaccamento, diciamo il canterino “Dai Volpe canta la tal canzone!” e le cantavo, però come al solito veniva il magone e allora pensavo solo a quelle cose lì, pensavo solo a divertirmi. Dopo ho trovato la morosa, che era poi una cugina di quel mio amico lì che è morto, me l’hanno affibbiata diciamo così perché mi veniva a trovare, “Dai stasera portami a ballare”, lei abitava a Puianello, io abitavo a Reggio, dopo lei andava a dormire a casa della famiglia di Pancio. Però quando una cosa non è spontanea non viene bene e difatti è stato un bluff: allora ci siamo rotti, ci siamo divisi, mai più visti e ho trovato mia moglie. Perché l’ho trovata io, la sono andata a cercare io, andavo allo Zibordi e quando la vedevo trac! l’andavo a cercare ed è stata tutta un’altra vita. E siamo qua. Però ho sempre dato del mio, un volontariato anche su all’ANPI che lo do proprio con il cuore perché ho fatto un lavoro di iniziativa, non è che mi abbiano detto “Te devi andare nei partigiani!” No. Sono andato nei partigiani perché vedevo una cosa giusta.
Francesco Bertacchini (1926 - 2024)
pseudonimo
Volpe
Resistenza
1944 - 1945: Reggio Emilia (Italia)
Armed Resistance, Partisan
gruppi di resistenza
144° Brigata Garibaldi
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Original interview language (Italian)
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