Mi chiamo Cavazzini Fernando, partigiano Toni. Sono nato a Reggio Emilia, nella frazione di Villa Cella, il 23 settembre del 1923. Il mio papà faceva il calzolaio, come suo papà, cioè mio nonno, anche lui, una stirpe di calzolai. Mia madre era casalinga e faceva un po’ delle giornate da... come bracciante. Poi avevo un fratello maggiore, era del ’15, che faceva anche lui il calzolaio, una sorella, Margherita, che lei faceva un po’ la bracciante, andava alla risaia eccetera. Un'altra sorella faceva la sarta. Mio papà era un antifascista, che però non è che fosse organizzato nell’antifascismo, cioè nessuno nella mia famiglia era fascista in poche parole, però non è che fossero organizzati, insomma ecco. Solo io che ero nell’Azione Cattolica. A 12 anni, finite le scuole elementari, il parroco di Villa Cella, don Luca Pallai, che poi è diventato anche lui partigiano nella Resistenza, insisteva con i miei genitori di mandarmi in... eh, a studiare da prete. E ha insistito diverse volte. Io ero credente, che abitavo vicino alla chiesa, un centinaio di metri. Della mia famiglia ero l’unico che andava in chiesa. Poi a 13-14 anni ero a delegato aspiranti. La quinta elementare, e chiuso. Poi dopo io ho cominciato a lavorare a 12 anni. Se non che, quando avevo poco più di 15 anni, di 14 anni, c’è stato con mio papà e il fattore un mezzo bisticcio, mi ha licenziato in tronco e poi io sono rimasto disoccupato. Allora mi sono presentato all’ufficio di collocamento per andare a lavorare alle Reggiane. Loro mi dicevano: “Ma non c’è posto alle Reggiane adesso, vieni tra un mese”. Io per quaranta giorni, tutte le mattine mi presentavo davanti all’ufficio di collocamento prima che aprissero. Penso di averli stancati, una bella mattina mi hanno detto: “Vieni dentro, ti mandiamo a lavorare alle Officine Meccaniche Reggiane”. L’Officine Meccaniche Reggiane allora era come fabbrica di armi la più importante di tutta l’Emilia Romagna. Io sinceramente ero cattolico, frequentavo la chiesa, per me il lavoro e la chiesa erano la cosa principale e non mi sono mai interessato di politica. E anche quando c’è stata la legge contro gli ebrei non è che abbia seguito questa cosa. Io lavoravo ed ero un lavoratore molto appassionato, anzi, addirittura facevo delle ricerche per migliorare la produzione.
Succedeva che la propaganda fascista diceva che i comunisti in Spagna hanno sventrato delle suore e violentate e tutte queste cose perciò quando si parlava del comunismo per me, non è che mi fossero stati simpatici, in poche parole. Poi che cosa è successo? Quando eravamo verso il 1943 che la guerra cominciava, si cominciava già a parlare con la ritirata dall’Unione Sovietica, con la ritirata in Nord Africa, i bombardamenti ecc. Poi si era praticamente nella primavera del ’43, che sono cominciati gli scioperi alle Reggiane, ma non nel mio reparto, nell’attrezzeria, che sono stati arrestati dei miei amici anche. Di lì ho cominciato a riflettere, proprio ho fatto un esame di coscienza: ma cosa ho fatto io? Sta lì a lavorare giorno e notte per aumentare la produzione per fare la guerra, e la guerra serve per uccidere la gente. Mi ero proprio… stato sconvolto. Dal quel momento ho cercato di prendere contatto con gli antifascisti… ma non c’era niente da fare. Tant’è vero che ero andato a Sassuolo che c’era un amico che era malato, che sapevo che era un antifascista, ma eravamo gia nell’estate del ’43, che pensavo che mi desse una mano per entrare nel movimento. Dice: “No, io sono un antifascista però non è che sia organizzato”. Poi c’era un altro compagno del mio reparto, un certo Grassi Armando di Gattaglio, che era abbastanza amico e ho detto: “Io voglio entrare nel… insomma, nel movimento”, così. E l’ho convinto. Mi ha messo in contatto con un certo Corradini. L’ho saputo poi dopo la guerra che si chiamava Corradini, che era uno di Cavazzoli. E lì ho cominciato praticamente a fare qualcosa nella clandestinità. Lì subito sono stato… ho fatto poco. Ho cominciato invece dopo la caduta di Mussolini, l’8 settembre. Dopo lì veramente si cominciava ad andare a cercare delle armi, tant’è vero che con l’8 settembre io abitavo a 500 metri della ferrovia, noi andavamo con quasi tutta l’Azione Cattolica, andavamo sulla ferrovia a fare rallentare i treni che arrivassero a Reggio, dove c’erano dei militari… allora i militari scendevano dal treno e poi il treno riprendeva. Li portavamo in canonica. Alcuni li abbiamo vestiti con i vestiti borghesi, alcuni abbiamo vestiti da prete, io vestito da chierico perché avevo allora già 19 anni, però ne dimostravo di meno. Li portavo, mi ricordo, un certo Catellani che lavorava alle Reggiane anche lui l’ho portato fino a casa a Sesso, ma anche altri fino a Rivalta, quelle zone lì, poi dopo magari andavano da soli. Beh io, siccome avevo l’esonero dal militare, e poi ho continuato a lavorare alle Reggiane fino a dicembre quando mi è arrivata un’altra cartolina per ripartire e l’esonero me l’hanno ritirato, però so che i tedeschi sono andati subito ad occupare i punti nevralgici della città, il municipio, lì alla caserma Zucchi, alla Cialdini dove c’è la questura adesso, e poi hanno fatto dei saccheggi anche i tedeschi, mi ricordo che insomma, che mia moglie abitava a Coviolo, alla Roncina, e c’erano dei tedeschi proprio nel suo cortile, sono arrivati là con delle galline, i conigli, ecc., e ridevano quando hanno arrestati i soldati che si sono arresi, ecc. A notare che l’8 settembre, i tedeschi hanno praticamente arrestato oltre 600.000 soldati e mandato in Germania, in poche parole.
Beh è naturale che con questi fatti (i martiri delle Reggiane) è maturata in me proprio la volontà di entrare nella Resistenza. Inoltre sono stato anche un po’ bugiardo con i miei colleghi della Resistenza, cioè con gli antifascisti che ho detto (questo era vero): “Guarda che non posso più dormire a casa, voglio andare in montagna”. E ho insistito parecchio. Finché poi sono andato, ed eravamo già ai primi di marzo, quando si sapeva che in montagna c’era una formazione partigiana…allora io voglio andare in montagna. E io e il mio amico Cocchi eravamo poi i responsabili, Ugo Veronesi, poi abbiamo mobilitato altri compagni; in sette siamo partiti. Praticamente responsabile era il fascismo. E’ stato il fascismo che si è alleato con i tedeschi che hanno voluto la guerra a tutti i costi: la guerra di Spagna, la guerra di Etiopia, hanno occupato l’Albania, e poi l’ultima guerra insomma, sono stati loro, noi ce l’avevamo più con i fascisti che con i tedeschi in poche parole… anche se i tedeschi hanno commesso delle barbarie ma non meno dei fascisti. Adesso basta, chiudiamo con questa guerra. Ecco perché poi anch’io ho detto basta, e ho fatto un esame di coscienza Io sembrava che magari fossi anche responsabile, infatti ero poi anche un responsabile perchè il mio lavoro che facevo, facevo le armi, mi sentivo anche un po’ responsabile di quello che stava… un complice anche di queste cose. Perciò anche con gli amici cercavamo di andare in montagna per combattere i fascisti e i tedeschi, proprio, con una carica che voialtri non potete proprio immaginare.
I partigiani erano vestiti un po’ in borghese, così, un po’ di tutto… qualcuno aveva un pastrano, anche dell’esercito, un po’ di tutto in poche parole… un po’ straccioni erano, insomma, perché poi non c’era una grande organizzazione, erano i primi… perché hanno fatto dei combattimenti già nel modenese e nel reggiano, già qualche presidio l’avevano disarmato però non è che avessero la scorta di indumenti nel magazzino, né viveri, quello che avevano lo avevano sulle spalle. Divise no. Magari uno poteva avere dei calzoni, una giacca da militare e un altro… Io per esempio ero in borghese quando sono andato su, come adesso. Avevo un giacchettone nero che mi aveva fatto mia sorella, però a Cerré Sologno l’ho lasciato in una stalla, c’era la neve, potevi essere individuato a un km di distanza, l’ho lasciato lì. Nomi di battaglia e basta. I nomi venivano raccolti, il nome vero, poi portati a Carpiteti che c’era un nostro compagno che li teneva nascosti e… teneva tutti i nomi della nostra brigata, successivamente, della 26° brigata comandata da Luigi, i nomi li conservava lui. Che a lui era vietato anche, lui e sua moglie, di scoprirsi un po’ troppo, perché lui poi aveva questo deposito dei veri nomi, io mi chiamavo Toni ma ma aveva il mio nome, cognome, la residenza ecc. se andava in mano ai tedeschi era un disastro. Avevano fatto una grotta, avevano trovato una grotta con molte fosse e li abbiamo nascosti lì dentro, che nessuno li ha scoperti insomma. “Che nome ti vuoi dare?”. “Mettete il nome che vi pare, a me va sempre bene”. “Va bene Toni?” “Si, va bene Toni”. Tutto lì. Tanti han messo dei nomi, diciamo… Lupo, Polvere, insomma, così… magari il nome della fidanzata alcuni. Un mio amico aveva la fidanzata che si chiamava Leda, lui si chiamava Ledo come nome di battaglia.
Luigi con trenta uomini doveva andare a far saltare il ponte della Gatta e disarmare il presidio, il presidio che faceva la guardia al ponte. Tutto il resto della formazione doveva andare a Ligonchio a disarmare il presidio che c’era un 20-25 fascisti, una cosa del genere. E siamo partiti. Non avevamo neanche cenato perchè avevamo già fatto una lunga marcia per arrivare a Santonio. E di lì non ci siamo neanche fermati. Ci han fatto incolonnare con gli altri e a metà percorso, fra, diciamo, Santonio e Ligonchio eravamo a Cerré Sologno, a metà percorso, erano le 7 del mattino, non potevamo noi andare avanti e indietro di giorno che passavano gli aerei tedeschi di ricognizione, ci avrebbero individuato. E ci siamo fermati a Cerré a riposarci, “poi riprenderemo domani sera e andremo poi a Ligonchio”. Erano le 7 del mattino se non che alle 8 circa una nostra sentinella ha sparato e lì c’erano i tedeschi. Noi eravamo per esempio… avevamo il sud-est, insomma avevamo occupato le prime case. I tedeschi venivano da ovest, si sono schierati da ovest e nord, i tedeschi. Però ci sono stati dei casi che si sono mescolati fascisti e tedeschi e partigiani nella stessa casa. Mi ricordo che c’era un partigiano che era in una casa, e fuori hanno aperto la porta ed è arrivato un tedesco col fucile, e tutti e due avevano il fucile puntato, poi il tedesco si è ritirato senza sparare perchè se qualcuno sparava morivano poi tutti e due, ed è uscito così… per dire come è successo. Allora cos’è successo… lì è cominciata la battaglia poi dopo un quarto d’ora, 20 minuti è rimasto ferito gravemente il nostro comandante, Miro dei reggiani e Barbolini che era il comandante dei modenesi. Dopo siamo rimasti lì, il comando l’ha preso in mano Eros – solo che le mitragliatrici che avevamo, la St. Etienne francese, la munizione era sbagliata: non ha sparato un colpo. L’ altra mitragliatrice, che era una Breda, lì andava bene però l’hanno piazzata in un punto… sai avevano fatto tutte le cose di corsa…. in un punto che era proprio allo scoperto, e il primo colpo che ha sparato, un tedesco con un fucile con un binocolo, che abbiamo poi recuperato noi, ha sparato, l’ha centrato in fronte ed è rimasto ucciso. Perciò quella mitraglia lì era inservibile, perciò noi eravamo anche mal armati e mentre loro erano bene armati, con le mitragliatrici, erano ben armati. Cos’è successo: lì, verso mi sembra le dieci e mezzo-undici, che io ero in testa al Cerré Sologno, proprio di fronte dove c’è la lapide adesso di quei nostri caduti, quella casa lì, che adesso è nuova ma è stata bombardata e ricostruita. C'ero io, c’era Viktor, che era russo che aveva un mitra, che era un mitra che era stato, che veniva da Montecavolo, che era di un fascista che è stato disarmato dalle donne di Montecavolo. L’unico mitra che avevamo era quello lì, quello di coso… che l’aveva il russo. Poi un mio compagno di Cella. Praticamente eravamo in quattro lì, dominavo proprio tutta la strada centrale di Cerré Sologno. Arriva un giovane che veniva avanti col fucile, quando ha visto che aveva puntato tre o quattro fucili ha alzato le mani, ha lasciato andare il fucile, noi gli abbiamo detto: “Vieni avanti col fucile in mano”, e l’abbiamo arrestato e poi gli abbiamo chiesto notizie, e l’abbiamo portato al comando. Al comando c’era ancora la sorella di Barbolini, Sonia, disperata: lì c’erano già i feriti, i nostri. E ha detto che c’era in arrivo un… diciamo una compagnia tedesca, che veniva da Cinque Cerri; se fosse arrivata quella compagnia lì, sarebbe stato per noi una carneficina, perchè noi non avevamo la copertura per ritirarci, perchè alle nostre spalle c’era la montagna dove c’era la neve, ma c’era più di un metro di neve. Se noi ci fossimo ritirati in quel modo loro ci avrebbero sparato, non c’era niente da fare. E allora siamo arrivati a circa mezzogiorno che ancora non si sapeva la sorte della battaglia, se pendeva a nostro favore o sfavore. Un bel momento i fascisti cantano “Battaglione”; “Battaglioni” era una canzone, diceva: “Battaglioni del duce, battaglioni, della morte create per la vita, a primavera ritorna la… faremo la partita di Mussolini, armate di valore…” qualcosa del genere. Hanno cantato per cinque o dieci minuti. Dopo un po’ i nostri cantavano “Bandiera rossa”, “Bandiera rossa” così: “Bandiera rossa, avanti alla riscossa ecc.”, la canzone. Io sono rimasto meravigliato perché queste canzoni io poi non le conoscevo neanche, neanche “Bandiera rossa”… sono rimasto lì. Allora che cos’era successo: che i fascisti avevano scoperto che c’era una colonna che stava arrivando, di persone. E pensavano che fossero i fascisti o tedeschi a distanza, invece erano i nostri. Era Luigi che dopo che aveva disarmato i fascisti della Gatta era stato informato che c’era la battaglia a Cerré, ha fatto uno sforzo, che era molto distante, e sono arrivati alle spalle dei tedeschi, a Cerré. Perciò dopo con lui, in tre avevamo gia occupato nord, sud ed est. I tedeschi avevano la possibilità solo su ovest. A quel punto i tedeschi si sono sbandati, qualcuno è scappato, altri si sono arresi, si sono arresi in 22 e poi la battaglia verso le 2 è finita, in poche parole. Sono rimasti sul terreno 10 tedeschi e molti feriti, 22 prigionieri fra tedeschi e fascisti si sono arresi a noi altri, e noi abbiamo lasciato sul terreno 7 morti e 11 feriti. E’ stata una delle battaglia più aspre di tutta la Resistenza.
Io sinceramente non mi trovavo a disagio, perché io non avevo fatto il militare. E avevo molta fiducia nei partigiani, e poi mi sono trovato in quella casa lì, che c’era di fianco a me questo russo che era un capitano, tra l’altro… e fumava la sigaretta con una certa semplicità, e mi trovavo abbastanza tranquillo e convinto proprio che andasse bene. Non ci pensavo neanche di lasciarci la pelle, questo era il problema: perchè io avevo fiducia nei partigiani e mi sono trovato proprio con un certa tranquillità. Invece successivamente, poi quando le cose sono cambiate, che mi sono trovato anche una responsabilità militare, sapevo giudicare meglio il pericolo, insomma. Lì eravamo in quella casa lì e basta… non è che siamo andati… insomma eravamo lì perché era un punto strategico e non potevamo abbandonarlo.
Noi abbiamo sentito che c’era un aereo che girava avanti e indietro, abbiamo messo tre mucchi di fascine, un triangolo abbiamo fatto, perché ci doveva essere un triangolo, lo sapevamo… la parola d’ordine… abbiamo incendiato. L’aereo girava perché poi l’aereo non è che puoi girare come una macchina che gira anche in pochi… ma puoi girare anche di km… allora quando hanno visto che c’era questo triangolo han lanciato il paracadute. E’ stato un lancio molto interessante. Dopo, i modenesi sono venuti da noi a reclamare che volevano loro le armi. Noi abbiamo diviso in poche parole perché poi… che erano 130-140 mitra. Noi eravamo lì allora, non più di una quarantina o cinquanta, perciò ne avevamo anche in più, insomma. Poi da lì dopo son proseguiti i lanci, da allora.
Io ho fatto un corso per sabotatori. Eravamo circa in 5, mi sembra, perché poi gli alleati continuavano a mandare giù degli esplosivi e nessuno sapeva usarlo. Se non che dopo è successo che hanno lanciato un sabotatore, uno che ci ha istruito, e così. Cioè il nostro compito era quello di far saltare dei ponti, delle ferrovie e compagnia bella. Lui ci ha insegnato come usare gli esplosivi, le mine come farle, come si fa per far saltare la ferrovia, come si fa per far saltare le strade, per far saltare una colonna militare, tutte queste cose. Che poi dopo con la pratica noi altri abbiamo anche superato il nostro istruttore in poche parole, perché questi istruttori secondo me li formavano così alla garibaldina, gli insegnavano le cose principali poi li lanciavano nelle zone partigiane. Invece noi siamo partiti da zero e poi dopo cercavamo anche di migliorare la nostra preparazione militare. Tant’è vero che per esempio un ponte sulla Statale 63 ci impiegavamo anche un’ora e mezza prima di farlo saltare perché erano tutti sassi ecc. Dopo noi riuscivamo, cambiando sistema, in un quarto d’ora facevamo saltare il ponte. Quando c’è stato il grande rastrellamento di luglio, lì succedeva che minatori c’eravamo in due o in tre, non di più, ma eravamo un po’ sparsi perché la battaglia è cominciata alle 4 del mattino, praticamente alla sera ormai tutta la zona partigiana era occupata dai tedeschi. E noi eravamo a Carpineti e avevamo raggiunto Costabona, e lì c’era il paese che bruciava, i tedeschi avevano bruciato tutto il paese e bruciato anche i raccolti, il grano sui campi, hanno bruciato anche quello lì… era una cosa desolante, proprio. E noi che eravamo ancora intatti, eravamo una trentina lì del distaccamento Bedeschi, poi c’era un distaccamento modenese che era uno di quelli che collaboravano con noi nei primi tempi. Ci siamo uniti lì a Costabona, decisi di affrontare i tedeschi, che oramai (guardavo anche la piantina l’altro giorno) i tedeschi avevano occupato tutta la zona. Però anche per noi era dura sganciarsi durante la notte. “Stiamo qui, domani facciamo resistenza”. Avevamo anche un mortaio, ecc. e infatti… Però prima di fare… dobbiamo far saltare il ponte del Secchiello. Sono andato giù io da una parte, prima, per protezione, e poi sono andato sotto il ponte, ma quel ponte lì era già controllato dai tedeschi. I tedeschi erano già sul Secchiello... che era anche difficile da far saltare… però dato tutto questo casino che c’era vado sotto, metto le mine, il ponte era in ferro però prima del ponte c’era un sasso che era alto quasi come questo piano… io accendo la miccia, faccio un salto ed è un attimo… ma i tedeschi, quando ho acceso la miccia, si vede che han sentito un po’ di movimento han lanciato dei razzi, dei bengala, ma io ho fatto il salto subito, quando i bengala sono andati su, e mi sono messo dietro il sasso. I nostri sapevano già che loro, quando i tedeschi sparavano, dovevano sparare anche loro per darmi la possibilità della ritirata, in poche parole. Infatti c’è stata una sparatoria notevole, fra i tedeschi e i nostri. Io pian piano mi sono ritirato, incolume in poche parole… E poi il mattino dopo i tedeschi hanno cercato per due volte di raggiungere Costabona, noi li abbiamo sempre respinti, siccome c’erano degli alberi, delle piante, delle querce, coi mitra, eravamo appostati, due volte li abbiamo respinti. E loro avevano le mitragliatrici, c’erano le autoblinde. Il ponte l’abbiam fatto saltare per evitare che passassero con le autoblinde, con i mezzi pesanti… con le energie potevamo difenderci, ma di fronte alle armi pesanti no, che non ne avevamo. E lì è successo che abbiam fatto saltare il ponte e al mattino abbiam fatto la resistenza. Poi alla sera ci siamo sganciati, pian piano ci siamo portati quella notte lì sopra Civago, presso la segheria, in quel bosco lì, la segheria di Civago. E lì ci siamo stati tutto il giorno… siamo arrivati prima dell’alba e tutto il giorno successivo. Poi alla notte successiva siamo passati dal Passone, che il Passone è di fianco al Cusna e siamo andati praticamente nella zona dove c’è il rifugio Cesare Battisti, che era già stato bruciato praticamente. E siamo stati in zona per 12 giorni, e pioveva spesso, e non avevamo niente da coprirci. Io sono stato fortunato che io e un altro ci han dato la disposizione di andare a Ligonchio per prendere informazioni dei movimenti tedeschi, tutte quelle cose lì, e a cercare di raccogliere un po’ dei viveri da portare su. Io la notte andavo su, tutte le notti con del pane, del formaggio, quello che potevo trovare, in più davo le notizie. Finché dopo un po’ di giorni i tedeschi sono andati via e ho detto: “La zona è libera”.
Da quando c’è stato il lancio, che eravamo circa una cinquantina, ad andare alla fine di luglio, da una cinquantina siamo arrivati a circa… a oltre mille, e il tempo era troppo breve per organizzarci, ecc. E infatti magari creavano un distaccamento e lo mettevano nella stessa zona, senza conoscere chi erano questi partigiani, era questo il problema. Lì loro hanno deciso di fare la formazione delle Fiamme Verdi, sono passati in tutti i distaccamenti, chi voleva andare con loro… l’hanno chiesto anche a me, io ero un cattolico, ma non ci sono andato perché stavo bene nei garibaldini. Invece quella giornata lì è stata formata la brigata delle Fiamme Verdi con Carlo, il Don Carlo, il comandante, e in seguito poi il vice comandante era il mio carissimo amico Aldo Dall’Aglio che è morto poi nella battaglia, nel rastrellamento del 7 gennaio, è morto il 10 sul Prampa. Anche lui mi aveva chiesto di andare con loro… e per fortuna che non ci sono mica andato perché tutti i vicecomandanti, non solo quello lì, sono morti nei combattimenti, delle Fiamme Verdi, pensa un po’.
I miei collaboratori non erano preparati. E’ capitata una volta che erano di guardia, è partita una raffica, in sbaglio, poi là sono scappati, e sono rimasto lì da solo. E ho fatto: “No, adesso basta, io devo formare un gruppo di sabotatori al mio comando”. E poi dopo ho chiesto al comando della 26° Brigata, con Luigi ho detto: “Guarda, io ho intenzione di fare questa cosa, fare una squadra di sabotatori, faccio io il corso alle dipendenze dirette della brigata”. Il comando è stato molto d’accordo e io ho fatto questo corso a questi ragazzi, e poi siamo andati avanti perché appunto succedeva che magari si andava a fare un’azione e potevamo anche farne tre o quattro in una volta, con 12 uomini. Inoltre rischiavamo meno perché purtroppo i morti venivano, mi fanno fuori me non ci rimane più nessuno. Facciamo il corso e infatti ha ottenuto successo.
Andavamo da 15 a 28 anni. Un ragazzo di …, si chiamava Francia, aveva 15 anni, non aveva compiuto i 15 anni. Un altro di… che abita a Guastalla, c’è ancora, ne aveva 17, gli altri avevano intorno… 20 anni, 21 anni. Gli altri circa lì insomma, 20, 22, 23. Ce n’era uno di 28 anni che lui aveva… era sposato con un bambino di un anno, e avevano arrestato sua moglie, e l’hanno torturata e violentata, e qui si può capire anche i fatti del dopoguerra, questo è il problema. Tutte le barbarie che han fatto i tedeschi, i fascisti… qualcuno si è vendicato. Io non sono mai stato d’accordo di fare delle rappresaglie ecc., anche da parte nostra, finita la guerra finito tutto e chiudiamo la partita. Però mettiamoci nei panni anche di questi partigiani o anche civili che hanno subito queste angherie, fai fatica dopo, in quel momento, se incontri i carnefici, a farci una carezza. Prima di parlare del dopoguerra dobbiamo capire cos’è successo durante la guerra, di queste barbarie… che per esempio ci hanno guastato anche noi, questo è il problema. Cioè questi eccidi, queste violenze, ecc., anche per noi è stata una cosa tremenda. Io però che ero nell’Azione Cattolica, ero sempre per il perdono e tutte queste cose… Eh, è stata dura anche per me, anche se io non ho ricevuto nessuna rappresaglia.
Dopo che abbiamo fatto saltare i ponti dovevi andar giù, con la tua squadra a Reggio, e al Buco del Signore per sentire le situazioni che c’erano. Poi alle 8 arriverà la 26° Brigata per l’entrata in città. Perciò il mio compito era far saltare i ponti per fermare i tedeschi. E secondo, il giorno del 24 partire e arrivare al Buco del Signore. Abbiam fatto saltare i ponti, e alla sera alle 5 ero al Buco del Signore con tutta la mia squadra. E’ stato… ho lasciato la montagna, una famiglia che era molto brava…piangevamo tutti, perché ci staccavamo insomma… …e infatti la brigata è arrivata alle 8, e alle 10 siamo partiti. Luigi ha dato l’ordine al sottoscritto di partire in testa alla brigata per poter guardare e andare molto lenti che non ci siano magari in giro delle mine o delle trappole… infatti siamo entrati pian piano e siamo arrivati a porta San Pietro. Abbiamo attraversato la circonvallazione, che c’era in corso una colonna alleata a piedi che passava che masticavano…. il chewing-gum, noi non sapevamo cos’era il chewing-gum, masticavano e se inoltre non si sentivano a passare perché avevano le scarpe con il caucciù sotto, con la gomma, invece noi facevamo un casino tremendo. E siamo entrati da San Pietro e avanti siamo arrivati fino in centro, poi abbiamo fatto delle postazioni. Mi ricordo che sono andato a mangiare con la mia squadra e altri, lì in piazza Prampolini, andando verso il municipio, a destra, lì c’era il ristorante, abbiam mangiato lì… una minestrina. Eravamo intossicati di formaggio, guarda che mangiavi per mesi formaggio e pane e pane e burro, ma io ero più fortunato perché ero sempre in giro, in particolare in collina, la bassa, e allora succedeva che noi andavamo a mangiare nelle famiglie, e allora il trattamento era tutta una cosa diversa, in poche parole. Poi il mattino… durante la notte abbiamo fatto una postazione a Santo Stefano, e han fatto la base lì nel corridoio di Pecorari, che costruiva le biciclette, lo conoscevo, siamo andati lì. Poi il mattino dopo ho detto: “Ragazzi mi devo assentare un paio d’ore che vado al comando – ho raccontato una balla – Voi state lì”. Sono andato da un mio zio che abitava proprio poco distante, mi son fatto dare una bicicletta e sono andato a casa. Ma casa, a Cella, lì dove abitavo io, alla Via Emilia, l’ha saputo prima, che c’era stata la Liberazione… Io sono arrivato a casa che saran state, non so, le 9.30, le 10… era poco che l’avevano saputo che c’era la Liberazione. Io sono stato uno dei primi partigiani a farmi vivo, in maniera che tutti… è stato un disastro… Mi baciavano, abbracciavano… io che sono molto emotivo piangevo, e non riuscivo a trattenermi dal pianto. Mio padre: “Lasciatelo stare, non è morto in montagna, lo fate morire qui?”. Dopo sono andato dov’era il pozzo lì, mi sono bagnato con dell’acqua fresca e mi sono messo a posto, poi sono tornato a Reggio che c’era, a Cella tutte le ragazze giovani, in colonna, a piedi, che sono andate a Reggio per entrare in città. Poi man mano che arrivavano a Reggio, perché passavano già gli alleati, ecc… a Reggio tutte da Pieve Modolena, Cavazzoli, via… hanno fatto una colonna che non finiva più… poi sono arrivate a Santo Stefano, l’ordine era di non entrare in città perché c’erano i franchi tiratori che sparavano avanti e indietro così. Quando c’è stata poi la Liberazione, i tedeschi, sulla Via Emilia, i partigiani c’han spostato la segnaletica, anziché segnare Milano, li han fatti andare nella bassa. Nella bassa si son trovati con tutti i ponti saltati ed è stato un casino per loro, finché sono arrivati a Boretto, con fatica lì hanno lasciato migliaia di carri armati, cavalli… un po’ di tutto insomma, un bottino enorme. I tedeschi nessuno è riuscito a passare, o pochi, il Po. Per me è stata la mia università, la Resistenza. Perché ho imparato che io non mi sono mai trovato a disagio in tutta la vita, mi son sempre sentito sicuro. Perciò ho fatto la cooperativa che eran tutti contrari: Consorzio, Federcoop, ecc. M’han riso in faccia, m’han detto: “Ma cosa fai la cooperativa che è tutto in fallimento, tu non hai neanche esperienza, perciò anche se ci fossero le condizioni, tu non sei all’altezza di andare a reggere una cooperativa”. Io ho detto: “Ma voi avete sbagliato tutto, io sono stato nella Resistenza, e la Resistenza ho imparato molto, è stata la mia università, abbiam fatto cose che voi non immaginate neanche”.
Fernando Cavazzini (1923 - 2016)
pseudonimo
Tony
Resistenza
1943 - 1945: Reggio Emilia (Italia)
Armed Resistance, Partisan
gruppi di resistenza
26° Brigata Garibaldi
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