Mi chiamo Erwin Schulz. Sono nato il 13 ottobre 1912 a Tempelhof (Berlino). Il periodo di guerra non fu facile per mia madre. Nel 1915 nacque mia sorella. E tutto si aggravò nel 1917: mio padre venne arruolato nell'esercito come soldato e con l'inverno della fame, le condizioni alimentari per la popolazione peggiorarono. Iniziai la scuola nel 1919. La scuola non era molto distante da casa nostra. Figure di riferimento li trovai solo più tardi. Dei miei insegnanti nessuno era un esempio. Alcuni insegnanti furono smobilitati dall'armata imperiale e vennero inseriti nel sistema scolastico, come per esempio insegnanti di ginnastica o religione che non possedevano competenze educative. Mi ricordo l'insegnante di allora: era un vero prepotente. All'inizio dell'ora ci dava subito due o tre bacchettate. Era tipico di quando arrivava. Inoltre ero denutrito, perciò ricevevo l'aiuto dei Quaccheri. Erano degli americani che facevano parte della Società degli Amici e ricevevo mezzo litro di zuppa di latte e un panino. Dobbiamo ricordare che era il 1920/21. La guerra era finita ma c'erano ancora molti problemi.
Non ricordo quando tornò a casa mio padre. Quando i soldati smobilitati arrivavano a Tempelhof, correvo sempre a vederli, ma mio padre non c'era mai. Un altro evento che accadde nel 1923 fu l'inflazione. Mia sorella stava davanti al fornaio e io dal macellaio. Aspettavamo finché non arrivava mio padre dal lavoro con uno zaino pieno di soldi. Ce ne dava un sacchettino, con cui pagavamo il pane, 250 grammi di salsiccia e mezzo chilo di carne. Il giorno seguente quel denaro non aveva già più valore e molte persone si impoverirono. Molti avevano dovuto pagare il prestito di guerra che si annullò, perdendo valore. Perciò quelli che non possedevano beni materiali persero tutto. Nel 1927 lasciai la scuola, non ricordo bene in che classe fossi. Iniziai a cercare un posto di apprendista. Non trovai niente, nonostante avessi una bella pagella. Anche allora un quattordicenne aveva una forza diversa di un diciottenne. Io volevo fare il tipografo. Anche mio zio mi cercò un posto, ma venni rifiutato. Poi l'altro zio mi disse: "Allora sarai un muratore", ma niente. Mio padre era un fabbro, ma ancora niente. Tutti gli sforzi non erano serviti. Poi iniziai a lavorare nell'azienda "Jonas" come giovane dipendente. Al tempo ero un bravo fattorino. Era il 1927. Nello stesso anno entrai nel sindacato, associazione dei lavoratori, e la sede era nello stesso edificio. Successivamente il lavoro nel sindacato portò al mio licenziamento dalla fabbrica.
Nel 1922 entrai nell'associazione sportiva dei lavoratori "Fichte" e negli anni successivi ci allenavamo due volte alla settimana. Abbiamo avuto una certa influenza. Mia sorella faceva parte della Fichte e perciò ci entrai anche io. Ero l'unico della mia classe. La maggior parte erano insegnanti reazionari che non avevano niente a che fare con Fichte. Mi sentivo bene alla Fichte. Era bello stare insieme ad altri della mia età e giocare con loro. La domenica a volte facevamo delle gite vicino a Berlino. Ci sentivamo al sicuro tra coetanei e sotto la guida dei più grandi. Durante le passeggiate ci facevano notare tante cose che ci colpivano particolarmente. Il movimento sportivo dei lavoratori era già stato fondato nel secolo precendente, quando il movimento sportivo civile venne contrastato da un'organizzazione che abbracciò lo sciovinismo.
Una cosa che mi stimolò particolarmente, fu la pubblicazione del libro "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Remarque nel 1929. Il libro fu letto dai giovani del sindacato, da quelli della SAJ (giovani lavoratori socialisti), dai giovani comunisti e dai lavoratori sportivi. I più anziani, che avevano partecipato alla prima guerra mondiale, dovevano riportare le loro esperienze nelle serate del centro giovani. "Com'era a Verdun o in altre parti?" Esperienze reali che resero molti giovani oppositori della guerra. Le SA provarono a non far proiettare il film e ci riuscirono. Questo rafforzò la lotta contro il pericolo fascista, che si sviluppò negli anni. Fu una cosa che mi accompagnò sempre nella vita, nella lotta contro la guerra e il fascismo.
Allora i comunisti avevano lanciato lo slogan: "Chi vota Hindenburg vota Hitler e chi vota Hitler vota per la guerra." La Crisi economica del 1929 incise sulla Germania. Avevamo più di 6 milioni di disoccupati. Nelle aziende si leggeva il cartello: "Non assumiamo nessuno!" Adesso non si fanno più quei cartelli. La situazione di inquietudine e soprattutto la disoccupazione giovanile portarono al fenomeno della radicalizzazione. Al tempo ci furono anche molti omicidi. Gli oppositori politici vennero assassinati. Anche noi sperimentammo qualcosa di simile. Eravamo fuori e le SA ci aggredirono. Un altro esempio ci fu nel 1932. Con i bambini della Fichte eravamo in vacanza nel Mar Baltico e una colonia (organizzata dai social democratici) venne assaltata dalle SA. Durante l'assalto, molti bambini e adulti rimasero feriti. Avrebbero dovuto attaccare anche noi teoricamente, ma riuscimmo a finire la nostra vacanza, grazie alla protezione ricevuta dall'organizzazione locale dei lavoratori. Fummo davvero fortunati quella volta. Chissà cosa sarebbe potuto succedere. Hitler prese il potere grazie a Hindenburg. Il movimento operaio era così spaccato, da non poter creare alcuna resistenza unita. Ci furono molte proteste che portarono poi all'incendio del Reichstag, una provocazione, per cui molti vennero arrestati. Era già stato preparato tutto. Ci furono ondate di arresti di funzionari del movimento operaio.
Ci eravamo già preparati a essere banditi. Avremmo trovato un altro modo per continuare l'attività. Per questo i membri (non tutti) si divisero in gruppi da cinque e uno apparteneva a più gruppi da cinque, che poi diventarono gruppi da tre. Così era più facile gestirli e riunirli. ... così non si conoscevano troppe persone che lavoravano illegalmente. Fichte era stato bandito quindi le nostre azioni erano diventate illegali. Organizzammo la gestione di Fichte a Tempelhof, nel nostro appartamento come un circolo musicale. Mia sorella suonava il violino e noi il mandolino. Nel palazzo erano tutti di buon umore: "Oh, i musicanti sono tornati." E lì progettammo dei volantini, organizzammo il lavoro, le riunioni e tutti i problemi che ne seguivano. Ancora una cosa: Prima del primo Maggio 1933, la direzione del sindacato, ovvero la Confederazione dei sindacati tedeschi, comunicò agli operai di andare il primo Maggio al Tempelhof Feld. Era così strano, che molti sindacalisti pensarono si trattasse di un inganno… Il 30 Aprile uscimmo fuori dalla città con le bici e passammo là fuori il giorno di festa. Poi tornando, bevemmo e cantammo da qualche parte al lago Samnitzsee. La gente si stava divertendo e qualcuno mi disse: "Io vado a racimolare qualche spicciolo." I soldi che avevamo raccolto, li usammo per la "Rote Hilfe" (Soccorso Rosso, organizzazione a sostegno politico) In questo modo avremmo potuto finanziare diverse cose. Persino alcuni delle SA che stavano tornando dal Mar Baltico, ci diedero dei soldi.
Se ben ricordo, dalla stazione attraversammo Luckau in catene. Il cancello si chiuse dietro di noi. Là ci vestirono, ci diedero gli abiti carcerari e presero tutte le nostre cose. Poi ci misero in celle grandi 2x4 metri con altri due uomini. Qui avremmo dovuto vivere per alcuni mesi, anni. La prigione di Luckau era sovraffollata. In una cella da una persona, c'erano tre uomini. Nelle celle più grandi non so come fosse. Eravamo isolati. Potevamo uscire dalla cella solo mezz'ora durante l'ora libera. Dovevamo rimanere distanti tra noi e non potevamo parlare. Un letto stava sotto la finestra, l'altro era attaccato al muro e il terzo era un materasso steso a terra. Si viveva così nelle celle. I bisogni andavano fatti lì dentro. All'inizio non avevamo un lavoro, poi ce ne diedero uno: dovevamo slacciare e disfare la juta che la trebbiatrice aveva automaticamente unito. La cella era sempre sporca. La sera ci facevano lasciare i vestiti e le scarpe fuori dalla cella. Avevano paura che scappassimo. Ricevevo lettere da mia sorella. Mi salutava da parte dei miei genitori e parlava spesso di argomenti scientifici che creavano una discussione tra noi tre in cella. Anche gli altri due erano lì per il "Processo Sport". Poi mi diedero il permesso di imparare la stenografia. Per esercitarci avevamo solo una lavagnetta. La stenografia su lavagnetta era ovviamente un'illusione, però qualcosa ho imparato.
Quando arrivammo nella palude, l'ufficiale che ci accompagnava disse: "Oh poveri ragazzi." Lui sapeva cosa succedeva nella palude. Fummo poi consegnati alle SA. E iniziarono le urla: "Tutti a sinistra. Se uscite dalla riga vi spariamo." Così arrivammo a "Börgermoor". Per andare là usarono una ferrovia a scartamento ridotto. Là ci rivestirono e il capo baracca, sempre delle SA, chiese: "Tu perché sei qua?" Risposi: "Per lo sport". Perché ero lì per il Processo Sport. "Allora fanne 25 di quelli piacevoli." Intendeva 25 piegamenti. Li feci, al tempo non era un problema per me. "Li hai fatti bene?" Io risposi: "Spero di sì, Signor Maresciallo." "Dai allora fanne un altro giro." Poi ci tolsero le scarpe di cuoio e ci diedero quelle di legno, come quelle olandesi assieme alle pezze da piedi. Poi ci rimettemmo in fila: "Anche noi abbiamo un bel campo sportivo che vogliamo mostrarvi. Qui potrete allenarvi." E lì iniziarono a ordinarci: piegamenti in gruppo, corsa di resistenza e ci maltrattarono, prendendoci a colpi coi fucili delle SA. Dovevamo arrampicarci su una parete alta due metri. Non tutti riuscirono a salire; c'erano anche anziani che erano lì da qualche anno e non avevano abbastanza fiato. "Volontari, fatevi avanti". Noi giovani procedemmo.
Ci svegliavano alle 6 circa. Poi dovevamo sbrigarci: fare i letti, lavare e andare in bagno, che era dentro una baracca. Poi veniva distribuito il cibo. Ci davano mezzo litro di zuppa, la razione giornaliera di pane, un po' di grasso e marmellata. Pane nero e bianco erano mischiati. Poi c'era l'appello; tutto si svolgeva in tempi record. Poi iniziava il lavoro fuori e ci adunavano. Per la maggior parte del tempo lavoravo nel gruppo che riempiva le buche. Eravamo circa 500 prigionieri. Poi si contava di nuovo. Ci contavano moltissime volte al giorno. Quando eravamo nella palude a lavorare ci contavano e tutt'intorno c'era la linea delle sentinelle. Erano seduti sparsi, per poter tenere tutti sott'occhio. Alla sera rientravamo, penso attorno alle 17. Ci contavano di nuovo, per vedere se erano tornati tutti. Poi si andava alla baracca. Bisognava sempre correre per prendere la cena. A volte facevano il minestrone, i "Peluschken", che erano fagioli grandi che alcuni non tolleravano. Oppure c'era la verdura. Il peggio era quando facevano l'appello durante il razionamento: dovevamo uscire e il cibo si raffreddava. Già non aveva un buon sapore, poi era anche freddo. Ma dovevi mangiarlo per poter mettere qualcosa in pancia.
Nel Gennaio 1940 fui spostato. Non venni liberato. Durante la guerra era normale che molti non venissero liberati. Mi portarono ad Hannover per un paio di giorni e poi a Berlino. Con la Gestapo ci furono nuovi interrogatori. Mia sorella sapeva che mi avevano spostato a Berlino e tutti i giorni andava là e chiedeva: "Quando rilasciate mio fratello?" E vi dico: se non si fosse impegnata così tanto, non sarei mai uscito da quel posto. Per cinque anni rimasi sotto sorveglianza, come stabiliva il verdetto. Avrebbero potuto riarrestarmi in un qualsiasi momento, perché non potevo uscire dalla Germania. Un amico mi procurò un lavoro. Insieme lavorammo illegalmente. Era del gruppo musicale. Ancora una cosa: C'erano tessere annonarie per tutto. Quando mi rilasciarono, gli amici e i compagni con cui avevo lavorato, o che mi conoscevano, avevano fatto una raccolta: un po' di burro; uno aveva anche sgozzato un pollo. Si veniva subito aiutati. Dopo la detenzione si riceveva un'accoglienza dignitosa. Non si poteva festeggiare alcuna festa, ma si riceveva del sostegno.
Ero già stato chiamato alla raccolta ad Aschendorfer Moor in cui ci avevano dato un certificato di esonero dall'esercito. Quindi non eravamo degni di combattere. Ergastolani e prigionieri politici non erano degni di combattere. Nel 1941/42 ci chiamarono nuovamente. Dato il numero spropositato di vittime nel fronte orientale avevano bisogno di materiale umano e dato che si trattava di un decreto del Führer, ci arruolarono. Un collega che lavorava con me, Erwin, aveva costruito un rampone. Era un utensilista e sapeva fare queste cose. Io gli portai una fune e inziammo questo viaggio: è stata una bellissima esperienza. Molti mi dicevano: "Erwin, fallo appena la guerra finisce." E io rispondevo: "Ciò che si ha, si ha." Non avrei mai più avuto la possibilità di fare questo giro in montagna sul Großglockner. Ma non voglio continuare a parlarne... Ma la leva... Dovevamo presentarci, penso qui a Kreuzberg, da qualche parte. E lì scartarono me e un altro. Poi ricevemmo l'incarico: entro due giorni saremmo dovuti partire in treno per Heuberg. Eravamo due in sovrannumero e partimmo quel giorno. Lì conobbi la moglie di Otto Linke. che era del SAP (Partito Socialista dei Lavoratori), ed entrammo subito in contatto. Quindi andammo a Heuberg, il campo di addestramento a Württemberg. Entrammo in contatto. Ma una cosa che proprio non riesco a dimenticare fu quel biblista che stava nella nostra baracca di soldati. Si rifiutava di usare le armi. Una sera che ci eravamo seduti vicini, venne condannato a morte. Il giorno successivo la compagnia doveva raccogliersi e stare a vedere come veniva ucciso nel palo della tortura. "Succederà anche a voi!" disse il capo della compagnia. "se non fate quello che vi viene detto." E questa fu la prima impressione.
La situazione era: i prigionieri politici che non erano degni di combattere, vivevano in Germania. I tedeschi stavano morendo su tutti i fronti. Iniziava a mancare il personale e l'idea era di addestrarci per una missione suicida, perciò eravamo armati come unità autonome per poter reagire agli attacchi degli alleati. Se fossimo tornati indietro, ci avrebbero sparato alle spalle. Si trattava veramente di missioni suicide. Era l'idea di fondo per le grandi unità e divisioni. E questo è come avvenivano le missioni. Era tipico che ci mandassero in un pendio: dopo il primo colpo, l'artiglieria americana ci avrebbe annientato. Nesssuno sarebbe sopravvissuto. Lo stesso avvenne in altre operazioni militari su altri fronti. C'è un'intera letteratura che ne parla. L'obbiettivo era di annientare i prigionieri politici. Non dovevano sopravvivere in guerra, ma crepare. Le compagnie erano composte così: un terzo erano prigionieri politici, un terzo criminali, un terzo ufficiali, sottufficiali e caporali, praticamente tutti nazisti. Questa era la composizione. I prigionieri politici dovevano stare molto attenti: bastava una qualsiasi espressione o pensiero e ti sparavano. Alcuni si conoscevano. Erano stati in galera insieme e ora si ritrovavano dopo tanti anni. Era il 1940/1942 e non sapevamo come potessero pensare quelle persone incarcerate nel '34, '35 o '36. Con il tempo però si entrava in contatto con i politici. Lo si percepiva. Eravamo tutti prigionieri politici e ci eravamo impegnati a tenere tutti gli altri fuori. Era una cosa molto importante. L'addestramento: non potevamo uscire. Ce lo permisero solo dopo, quando arrivammo in Belgio. C'era un sottufficiale per 3 o 5 uomini, che camminava con noi e controllava che non ci fosse contatto con altre persone. In Belgio non eravamo i primi ad essere arrivati lì, quindi si sapeva che nella Divisione penale 999 c'erano molti prigionieri politici. Si sapeva già. L'informazione arrivava poi anche in Francia e probabilmente anche in Italia.
Arrivammo a Napoli. Lì c'era una nave, dichiarata come ospedaliera (con il disegno di una croce rossa) che trasportava munizioni. La notizia giunse ai partigiani e la nave venne bombardata. Dovevamo portare i feriti all'ospedale. Questo succedeva spesso: navi dichiarate come ospedaliere trasportavano munizioni. Da Napoli arrivammo in Tunisia con lo Ju 52. Volava sempre a livello del mare, non si alzava mai. Alcuni aerei della compagnia, che avevano volato prima di noi, erano stati abbattuti. Annegarono tutti miseramente nel Mar Mediterraneo. Non potevamo salvarli. Fummo molto fortunati. Quando poi arrivammo in Tunisia all'aeroporto ci dissero: "Cosa volete ancora?" Molti soldati ritornarono indietro. Le unità principali con anche il generale Rommel erano lì. Ed era Marzo. I primi di Aprile l'esercito di Rommel si stava ritirando. Anche a noi si abbassò il morale. Il nostro generale, nazista ostinato, disse: "Non pensate che sia come nel 1918! Chiunque esce dalla linea, verrà fatto fuori." Così tentò di ottenere il controllo. In Tunisia stavamo nelle caserme. Dovevamo fare le sentinelle. Assegnarono il compito a quelli trasferiti per motivi disciplinari e quindi anche a noi. A Qayrawan il fronte si bloccò. Pensammo: "Se gli americani vengono più avanti, consegneremo loro le nostre caserme. Così potremo impedire la resistenza." Ma non successe niente. Poi ci spostarono nelle montagne. I lanciabombe erano nascosti e sparavano. Ci spostarono in un altopiano, dove gli americani potevano vederci e spararci. Si trattava di una missione suicida. Se avessimo sparato un colpo, ci avrebbero subito bombardato e non saremmo sopravvissuti. A circa 20 metri avevamo piazzato il lanciabombe e qualcuno disse: "Costruiamo qualcosa che possa proteggerci dai bombardamenti." Sparammo un colpo e subito il nostro lanciabombe si distrusse. Ci volevano annientare. Era una missione suicida. Poi tornammo indietro e parlai con alcuni degli altri: "Dobbiamo scappare subito." Era fine Aprile e il 10 Maggio si arresero. Ma avevamo ancora dei dubbi: "Informeranno la Germania che lei ha disertato." Io dicevo: "Tutte scemenze. Non avranno tempo per farlo." Ma rimasi con Otto Linke e insieme ci misero in prigione. Penso fosse il 30 Aprile. Dissi: "Otto, dal primo Maggio staremo nelle montagne come uomini liberi." E il 2 Maggio fummo presi dai Marocchini che ci imprigionarono. Poi passammo ai Francesi per poi arrivare agli Inglesi e infine agli Americani.
Ci imbarcarono su una nave. Dovevamo superare il Mediterraneo. Ma tornammo indietro e poi (non so quale fosse l'accordo tra gli alleati) ci consegnarono agli americani ed arrivammo a Casablanca con il treno, passando per il Marocco. Casablanca si trovava abbastanza a sud. Gli Americani non ci trattarono meglio. Una cosa che mi ricordai molti più tardi fu: gli officiali probabilmente non erano in grado di capire da soli che i soldati che avevano combattuto nell'esercito di Hitler, si erano rivoltati a lui. La questione del contrasto fascismo-antifascismo era una cosa che gli officiali non avevano compreso. Più tardi poi, verso la fine, cambiarono un po' mentalità. Quando scoprirono dei campi di concentramento e di quello che veniva fatto lì alle persone, come venivano uccisi e come se ne sbarazzavano. Auschwitz venne liberata inizialmente dall'Armata Rossa, l'esercito sovietico. Qui iniziò il cambio di mentalità: iniziarono a realizzare che c'era gente che stava combattendo contro il "loro paese", come lo chiamavano. Più tardi mi riportarono a Fort Devens, dove partecipai alla fine della guerra. Là avevamo anche un giornale "German-American" che veniva editato da sindacalisti immigrati o immigrati politici. "German-American" era tedesco e inglese. Arrivò anche nel nostro campo. Prima a McCain dove non era giunto. Alla fine della guerra, c'era già stato un grande cambiamento. Il giornale si poteva comprare. Avevamo contatti con gli emittenti, illegali, perché lavoravano nel comando Motor pool. Gli americani ci aiutarono con le informazioni. Ecco un altro capitolo che potrei trattare. Comunque là si sviluppò la vita culturale e politica. Gli americani filmarono "Buchenwald": il carnaio che ci trovarono e le condizioni. Il film fu mostrato negli Stati Uniti e tutti i prigionieri di guerra dovevano vederlo. Per quanto riguarda me: ci spostarono in Belgio dove trovammo le stesse condizioni di Aliceville, che erava il primo campo per prigionieri. Poco prima di essere rilasciato arrivarono i documenti e un compagno, Fritz Fiedkau, fu dichiarato (nei documenti) un uomo delle SS. Così nel campo dove eravamo prima, scambiarono i documenti nel giudizio. Avevano fatto di un antifascista un uomo delle SS e un ufficiale delle SS era già tornato a casa perché creduto antifascista. Più tardi lo comunicai. Poi arrivammo a Munsterlager e di nuovo tornavano i soliti schemi: sottufficiali e sergenti che avevano il dominio sul campo. "Non fatevi rilasciare all'est!" Ad ogni modo, nell'ottobre del '46 mi portarono a Berlino Ovest. Vivevo già a Berlino Ovest e così, dopo la prigionia di guerra, tornai a casa. I miei genitori vivevano da un'altra parte, li avevano bombardati. Così, in seguito a tutte le vicende vissute in quegli anni, iniziò la mia nuova vita.
Quando tornai a casa, entrai a far parte (prima non ero inquadrato politicamente) del SED, che era l'unione dei socialdemocratici, comunisti e molte persone indipendenti. Lavoravo occasionalmente nel Ministero ed ero temporaneamente a Tempelhof in qualità di Secondo Segretario, in seguito anche come segretario di partito per un'azienda a Johannisthal. Dopo il 1989/90 ero particolarmente interessato agli incontri di quei soldati della palude. Facevo in modo che i soldati della palude di Köpenick rilasciassero interviste. Avevo con loro dei buoni rapporti e andavo lì ogni anno. Partecipavo alle loro riunioni: contro la guerra e contro il fascismo. Queste sono le conclusioni: la guerra è terribile! Essa crea delle condizioni spaventose non solo per i soldati ma anche per la popolazione civile. Bisogna opporsi al fascismo e ora anche ai neonazisti per poter prevenire aspirazioni simili. Se non avete altre domande, queste forse potrebbero essere le parole conclusive. Tali conclusioni non sono frutto solo degli ultimi anni, ma erano già maturate durante la prigionia e poi durante la guerra.
Erwin Schulz (1912 - 2012)
Resistenza
1933 - 1935: Berlin (Germania)
Unarmed Resistance
gruppi di resistenza
Former Sports Group
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Original interview language (German)
English translation