Mi chiamo Stefania Dąmbrowska. Il mio nome non mi piace. Sono Stefania Dąmbrowska, formalmente Stefania, ma il mio soprannome è Stenia. Sono nata il 12 Ottobre 1916 a San Pietroburgo. Mio padre era un militare, si chiamava Bohdan. All'epoca in Russia credo che fosse il capitano di cavalleria. Mia madre - il suo nome da nubile era Kościałkowska - stava semplicemente accanto al marito. A quel tempo c'era già consuetudine che alcune donne lavorassero. E la mia mamma lavorava in un ufficio chiamato "Prodamed".
Quando scoppiò la guerra, la seconda, la regione di Vilnius fu occupata dall'esercito sovietico. Ed erano rapporti diversi da quelli della zona di Varsavia, erano completamente diversi nella regione di Vilnius. Gli stagni con il pesce furono nazionalizzati, le foreste furono nazionalizzate, rimasero solo trenta ettari di terra coltivabile. I cavalli servivano alla guerra, eravamo rimaste io e la mamma, gli uomini non c'erano, i miei genitori si erano separati già prima, eravamo rimaste sole alla fattoria. Durante tutto l'autunno del 1939 dovevo arare, con un semplice aratro andavo avanti e aravo. Era rimasto un cavallo e tre puledri, che non erano ancora adatti a lavorare. Poi i lituani ottennero teoricamente dall'Unione Sovietica il potere su una grande parte della regione di Vilnius. Noi eravamo abbastanza vicini a Vilnius. E i lituani erano molto cattivi verso i polacchi, ci opprimevano con forniture obbligatorie, non c'erano possibilità di guadagno. Prima dello scoppio della guerra ero un'impiegata presso la Banca Agricola Statale della filiale di Vilnius. Se avessi preso la cittadinanza lituana, allora avrei potuto continuare a lavorare, ma non lo feci, così in ottobre fui licenziata dal lavoro e tornai a Orwidów, iniziai a occuparmi completamente della fattoria. Era un lavoro maschile, ma gli uomini non c'erano. Io ero allora il lavoratore principale. Erano tempi molto, molto difficili. Nella primavera del 1940 i lituani chiesero, tra virgolette, di far includere la parte della Regione di Vilnius all'Unione Sovietica tra le varie repubbliche. Arrivò il potere sovietico. I sovietici volevano dimostrare di essere molto meglio dei lituani per i polacchi. Quidni arrivò il potere sovietico. Venni a sapere da qualcuno che si possono fare soldi nella foresta statale facendo il carrettiere. C'era uno, due cavalli. Era già arrivato l'inverno, c'era molta neve, quindi uno dei nostri ex-lavoratori portava una slitta e l'altra slitta la portavo io. Durante tutto l'inverno lavorai nella foresta come carrettiere. Quaesto significa che andavamo nella foresta quando faceva ancora buio, sulla slitta caricavamo la legna, legna da ardere, la portavamo alla stazione Bezdany, lì la dovevamo scaricare e tornare ancora una volta nella foresta. Dovevamo farlo due volte al giorno. Andò così fino alla primavera del 1941. Nel giugno del 1941 andai a Vilnius. Non mi ricordo esattamente se dovevo incontrare qualcuno o scoprire qualcosa su qualcuno. C'erano molto pochi contatti con la città. Ero ospite dai conoscenti e scoprì che quel medico era morto due giorni prima, che sua moglie e sua figlia non avevano i soldi per il funerale, e chiedevano se io e mia mamma le potessimo aiutare. Tornai a casa e mia mamma disse: sono i tuoi soldi, prendili. Andai a Vilnius e per anni non rividi mia mamma. Arrivai a Vilnius e i sovietici a quel tempo iniziarono a deporate dalla città in massa la popolazione polacca. Quel giorno fui avvertita - questa famiglia Zebrowski aveva un telefono e qualcuno dei conoscenti sapeva che ero a Vilnius e mi avvertirono che mia mamma era già stata portata via e mi dissero di non tornare perché mi stavano cercando.
Camminai per diversi chilometri lungo il fiume Neris, che scorreva a pochi chilometri da noi. Andai in una casa, dove un ex-lavoratore di Orwidów - il signor Jozef - aveva una piccola fattoria, perché si era sposato con la ricca signorina Lachowiczówna. Mi hanno accolta molto volentieri e così io avevo di nuovo un posto in cui vivere. Aiutavo la signora Lechowiczówna nel suo orticello, camminavo sopra il Neris e aspettavo cosa sarebbe accaduto. Dopo tre o forse quattro giorni, una sera, sentiamo il bombardamento, che doveva essere quello di Vilnius. Nessuno di noi si mosse da quella fattoria in mezzo al bosco semplicemente perché tutti avevano paura di quello che i sovietici avrebbero potuto fare. Prima di tutto si vedevano delle esplosioni, dei flash, delle luci, che permettevano di vedere di notte dove bombardare, e si sentiva il tac, tac, tac dei carri armati, delle auto blindate. Questa fattoria si trovava tra due grandi strade che andavano a est, a nord-est - la strada "Nera" e la strada di Bathory. SI vedeva che su entrambe si trascinavano dei grandi eserciti. Cosa? È scoppiata la guerra? Non avevamo idea di cosa stesse succedendo. In certi momenti sentivamo uno sparo e tutto si fermava. Si fermavano i carri armati, evidentemente era un segnale, per cui, quando arrivavno gli aerei tedeschi, i russi si dovevano fermare. Così andò avanti per due o tre giorni, adesso non saprei dirlo. Un bel giorno ero sul fiume Neris, stavo tornando e vidi davanti al portico della casa della famiglia di Józef un cavallo imbigliato, una carrozza aperta e il fratello della signora Lachowiczówna che mi disse: "Signora, prenda la sua carrozza e parta". Quella carrozza e quel cavallo erano stati lasciati presso la famiglia di Józef già in autunno, in modo che almeno qualcosa si potesse salvare nel caso i sovietici si portassero via tutto da Orwidów. Così salì sulla carrozza e partii. Nel posto in cui arrivai non c'era anima viva, salvo una ragazza, la mia coetanea. Si doveva occupare un po' di tutto, non veniva pagata per il suo lavoro ma poteva abitare lì gratuitamente. Era la figlia del nostro pastore. Melania disse: "Sto qui da sola, menomale che è arrivata lei, signorina". Gli edifici agricoli, dove vivevano i lavoratori, erano lontani. La casa si trovava nel mezzo di un giradino, che la circondava per un bel po' ed era abbastanza isolato e noi due, Melania ed io, eravamo rimaste sole in una grande casa con ben dodici stanze. Non era molto piacevole. Non c'erano cani, quindi, anche se qualcuno dovesse cercare di intruffolarsi, non ci poteva avvertire nessuno. Dopo due o tre giorni arrivano delle persone. Per prima arrivò la famiglia Zambrowicz: la Sig.ra Maja Zambrowicz - la madre di Joanna - con il marito e una capra. Mi chiese se potevano fermarsi ad abitare da noi. Ma certo, benvenuti. Almeno ci vivrà qualcun altro, oltre a Melania e me. Semplicemente stavano scappando da Varsavia, erano stati a Vilnius e avevano sentito di molte piccole fattorie che ospitavano i vacanzieri. Era giugno, così pensavano che magari durante l'estate potevano stare lì, risparmiare un po' di soldi e tornare a Varsavia. Non erano sicuri su cosa avrebbero fatto dopo.
Un paio di giorni dopo i signori Zambrowicz, arrivò un'altra famiglia ancora. La signora, di origini ebraiche, era un'amica della moglie di mio zio. Durante la Prima Guerra Mondiale era nella Organizzazione Militare Polacca (POW), era stata battezzata ed era una fervente cattolica, ma tutte le persone di Orwidów sapevano che era di origini ebraiche. Veniva tutte le estati a far visita alla sua amica, cioè alla moglie di mio zio. Il signore invece era ariano. Dissero che volevano sapere come stava mia zia. Pensavano che mia zia fosse lì, non sapevano che fosse stata deportata. Quando lo scoprirono, decisero di tornare a Varsavia. Per me invece era importante che rimanessero ma avrei messo in pericolo gli altri. Così invitai tutti i lavoratori sulla veranda e gli dissi: "Sentite, vorrei che questa famiglia restasse, ma non voglio decidere da sola perché sapete bene a quali pericoli andremmo incontro. Quindi se nessuno parla, sarà un bene per questa famiglia e per tutti noi. Se invece qualcuno parla, sarà un bastardo e forse si guadagnerà qualche merito per i tedeschi, ma ne soffriremo tutti noi. Se invece qualcun altro farà la soffiata su questa cosa, saranno tutti gli abitanti di Orwidów a doverne rispondere. Così rimasero. C'erano stati alcuni momenti in cui dovevano lasciare Orwidów per qualche giorno perchè c'erano dei segnali di pericolo, ma fondamentalmente rimasero e dipendevano da noi. Tutto era condiviso, mangiavamo insieme, tutto ciò che riuscivamo a raccogliere, tutti i soldi erano in comune. Durante i temp dei tedeschi giravo per i villaggi e svendevo delle cose. La casa era ben fornita e quindi vendevo dei piumoni, biancheria da letto, tovaglie ecc. Bisognava venderlo per vivere in qualche modo. La famiglia Zambrowicz si manteneva da sola, ma subbentrò quest'altra famiglia. Io conoscevo Natka da molto tempo, sin dall'infanzia. Stefan lavoricchiava un pochino, ma per il momento non aveva la più pallida idea di come si lavorasse in campagna. Era un uomo di città, un giornalista, quindi non era pratico ma cercava di aiutare e fare qualcosa. I guadagni non erano come durante i tempi dei sovietici, dovevamo fare qualsiasi cosa, caricare la legna per i tedeschi, offrire aiuto prestando il cavallo, la carrozza e un operaio. Quindi non si guadagnava niente. Dovevamo rubare la legna dal proprio bosco, tagliavamo degli alberi secchi e li portavamo a Vilnius per vendere e fare qualche soldo.
In agosto, credo, andai a Vilnius. Dovevo incontrare delle persone che avevano dei contatti, sapevano cosa stava succedendo nel mondo ed era più facile scoprire qualcosa da loro. Scoprì che sul balcone, coperto dalla vite selvatica, nascondevano una coppia sposata. Lei era figlia del miglior dentista di Vilnius, ebreo, lui - un avvocato di Sosnowiec, che scappò dai tedeschi, arrivò a Vilnius, incontrò Hana e così si sposarono. Vivevano sul balcone, erano molto spaventati. Avevano dei documenti, non so neanche come fossero messi con quei documenti. il cognome era vero, del tipo giusto. Hana era bionda con gli occhi azzurri, nessuno avrebbe potuto dire che era ebrea. E anche Arnold non sembrava ebreo. Volevano assolutamente lasciare Vilnius, perché come si faceva a vivere su quel balcone? Tornai a Orwidów e dissi alla prima coppia che avrebbero dovuto stare molto attenti, perché più persone sospette avrebbero vissuto lì, più grande sarebbe stato il pericolo. Gli dissi che c'era questa situazione e gli chiesi se gli avremmo aiutati. Portai la famiglia Minkowski. Con loro avevamo un enorme problema perché erano molto spaventati. Nella cittadina di Niemenczyn era stato creato il ghetto. I Minkowski erano terrorizzati dal fatto che a sette chilometri da noi ci fosse un ghetto, era un grosso rischio. Erano quindi molto spaventati. Dopo la chiusura del ghetto di Niemenczyn volevano andare alla fattoria di quelle persone, presso le quali si nascondevano a Vilnius. Era considerata Bielorussia perché quello che una volta era voivodato di Wilno fu diviso in una parte lituana e una bielorussa. La parte più a sud era bielorussa, sembrava essere più sicura, i lituani potevano essere più imprevedibili. Ma intorno a Vilnius i lituani praticamente non c'erano.
Era il 1941. La guerra tedesco-sovietica scoppiò nel giugno del '41 ed era ancora lo stesso anno. Cercai di noleggiare un carro che li potesse portare in Bielorussia. Hana aveva dei vestiti, Arnold non aveva niente, lei però sì. Avrà avuto qualcosa da suo padre. Così si poteva rivendere qualcosa. Io avevo solo qualche soldo per mangiare. C'era un signore che un tempo aveva comprato un pezzo di terra da Orwidów. Aveva sempre sognato di andare in America. Il suo nome era Janek Mackiewicz. Decise che avrebbe potuto portarli a cavallo per circa 100 chilometri, in Bielorussia, dalla famiglia Fedecki. Alla fine morirono lì. Così una famiglia partì. Andai a Vilnius, avevo un luogo di contatto perché dovevo procurare dei documenti per una persona che doveva venire da me a Orwidów, prendere quei documenti e partire, penso, per Varsavia. Andai da una signora che avevo visto una volta sola nella vita. Lì era stato fissato il mio luogo di contatto. Lei mi disse che avrei potuto salvare un bambino. Sorrisi anche perché i bambini non mi piacciono per niente, sono terribili. Quindi c'era questa storia per cui una sua amica di Varsavia, anzi più di Vilnius, con cui prima della guerra aveva seguito qualche corso di pronto soccorso, aveva i genitori a Vilnius e a loro aveva affidato la sua figlia di 3 anni. Lei viveva a Grodno perché il marito era un ingegnere chimico e lavorava a Grodno, per l'Unione Sovietica, in qualche fabbrica chimica. Quando scoppiò la guerra con i tedeschi, il sig. Józef venne mobilitato e portato in profondità dell'Unione Sovietica per avviare lì delle fabbriche. Anche sua moglie con il secondo figlio, più piccolo, venne mandata da qualche parte in Russia. La figlia aveva dei documenti molto buoni perché questa mia conoscente era ariana e aveva deciso di darle il suo cognome, anzi il cognome del marito. Un prete a Vilnius, il prete Chlebowicz, le aveva rilasciato il certificato di nascita, secondo cui la bambina sarebbe la figlia di Irena e Jan Nowicki. A Vilnius c'erano due preti così: Kretowicz e Chlebowicz. E di nuovo la stessa storia. Vado a Orwidów, racconto cpme stanno le cose e chiedo se la prendiamo o no. Ognuno si prende la responsabilità per questo. Bene, ma come facciamo a spiegare la presenza della bambina? Io ho inventato una storia perché Irena era bionda con la pelle rosea, anche la bambina era chiara con gli occhi azzurri, quindi potevamo dire che era figlia di Irena. La bambina però non sapeva una parola di polacco, parlava solo il russo perché il marito della nonna non era il vero nonno della bambina. La signora Melezyniuk rimase vedova e si risposò di nuovo con un ebreo, che era scappato dall'Unione Sovietica, e gli ebrei che erano fuggiti a Vilnius dall'URSS parlavano il russo. Altra cosa: la bambina parlava dei nonni chiamandoli in russo 'diedushka' e 'babushka', quindi inventammo una storia secondo la quale Irena era una mia cugina che era scappata da Varsavia. In realtà non era mia cugina ma era fuggita da Varsavia per davvero. Lavorava in un ospedale - e anche questo era vero -, era un'infermiera e aveva dei turni di notte, abitava a Vilnius con dei russi bianchi (a Vilnius ce n'erano un po', erano scappati dall'URSS), questi a casa parlavano il russo e la bambina, vedendo raramente la madre che lavorava in ospedale, imparò il russo ma parlava a malapena polacco, e per questa ragione Irena voleva sistemarla altrove. Quindi arrivò questo essere - piccolo, arrabbiato, che piangeva, urlava. Aveva quasi tre anni perché era novembre e lei era nata a dicembre. Il suo nome era Miriam ma la chiamavano Maryska. Non ho la più pallida idea se le persone ci avessero creduto o meno. Ma Maryska presto si guadagnò l'affetto soprattutto di Melania. Melania la portava spesso nel villaggio.
La gente aveva smesso di pensare da dove provenisse quella bambina che non parlava neanche polacco. La bambina imparò presto la lingua. Natka se n'era presa cura e con Maryska succedevano dei numeri molto divertenti. Era però molto pericoloso. Mi ricordo che una volta una nostra cuoca aveva bevuto parecchio e andò nel villaggio urlando: "C'è un grosso ebreo che dà da mangiare alla mucche e anche la bambina deve essere ebrea!". Chiaramente solo uno stupido non avrebbe avuto paura in una situazione così. Ma, in poche parole, se una persona decide di prendersi un rischio, deve andare fino in fondo.
Prima della guerra a Vilnius c'era un gruppo di giovani di sinistra. Sztachelski che subito dopo la guerra diventatò qui Ministro della Salute era stato uno di essi. Jędrychowki - l'ex presidente della commissione di pianificazione, Zeromska, Mucha Zeromska, la quale sposò Kazik Namysłowski, Muta Dziewicka, Irena Dziewicka, - era un gruppo di sei o sette giovani. Io non avevo con quei giovani alcun contatto prima di tutto perché erano più grandi di me. Tra l'altro avevo frequentato la scuola per un periodo molto breve, appena quattro anni, quindi non conoscevo la tipica vita scolastica. Non conoscevo nessuno e non avevo nessun contatto. Il fatto interessante era che tutti erano alunni o al ginnasio delle Suore di Nazareth, o al ginnasio dei Gesuiti: i ragazzi studiavano dai Gesuiti e le ragazze dalle Suore di Nazareth. Quando arrivarono i tedeschi Mucha Zeromska, Namysłowska, Namysłowski e alcune altre persone erano contro i tedeschi, cospiravano contro i tedeschi e i punti di contatto si trovavano esattamente a casa loro. A volte si trovavano in serio pericolo e quindi la famiglia Namysłowki chiese che Zbyszek insieme a sua nonna (la madre di Mucha) potesse venire ad abitare da me. Erano polacchi, non c'entravano niente con gli ebrei. Si trattava di un ulteriore rischio. I Namysłowki però abitavano a una quindicina di chilometri da noi, in una fattoria a Lipówka, la quale apparteneva all'Avv. Zagórski. Temevano però per il figlio e per la Sig.ra Julia Zeromska e chiesero che potessero venire a vivere da me. Quindi c'era quest'altra coppia a casa mia, molto pericolosa a causa dei tedeschi.
Un bel giorno viene da me Jadzia e mi dice: "Signorina, Nitson chiede se lei non potrebbe prendere con sè la sua nipote Sonia, perché loro vivono nella foresta in un rifugio interrato e Sonia non ne può più, insiste che vorrebbe vivere in mezzo alla gente. Sonia ha quindici anni, è la figlia di un ricco commerciante della cittadina di Niemenczyn e della sorella del SIg. Nitson, anche lui un ricco commerciante. Non parla polacco tanto bene. Ha i documenti? No, non ce li ha. Erano riusciti in qualche modo a lasciare il ghetto di Niemenczyn e si stavano nascondendo a pochi chilometri da noi, vicino a Drzwiniany. Ma che cosa farà Sonia? Sonia potrebbe, insieme a Janusz, pascolare il bestiame. Janusz era figlio della cugina di mia mamma, mandato dalla zia a Orwidów per l'estate, perché la zia era preoccupata che il ragazzo potesse iniziare a fare a Vilnius qualcosa di pericoloso. Sonia e Janusz dovranno partire la mattina presto, attraversando i boschi, andando verso i pascoli e tornare la sera tardi. Non importa quanto caldo faccia - le mucche non devono essere riportate per mezzogiorno perché Sonia si deve nascondere lontano. Andò tutto bene per due o tre settimane. Vicino a Orwidów c'era una croce. Chiunque venisse Orwidów, doveva passare accanto a questa croce. Per le festività religiose di maggio Natka aveva pensato di fare decorare questa croce alle bambine (a Marysia e Sonia). Non era esattamente una buona idea ma così si fece. Marysia non sapeva di che religione o nazionalità fosse. Lei era semplicemente della Sig.ra Melania. Un giorno - era una giornata di giugno molto calda - andai insieme a Stefan al mulino a Hamernia. Rimanemmo lì a lungo per macinare il grano. Tornammo a casa e tutti erano di un pessimo umore. Cos'è successo? SI scoprì che durante la mia assenza avevamo ricevuto una visita da parte dei lituani e dei tedeschi e c'era stata non tanto una perlustrazione quanto un interrogatorio di tutti i residenti. Li divisero in due gruppi. Gli adulti dovevano stare sotto una quercia e i bambini sotto un'altra. La casa si trovava venti, trenta metri dalla scarpata, oltre la quale, in un profondo burrone, scorreva il fiume. Sulla riva, di fronte alla casa c'erano due querce, e altre due più avanti. Avevamo delle panchine sotto quelle querce, era un posto molto bello. Quindi i lituani e i tedeschi divisero le persone in due gruppi. Tutti gli adulti sotto una delle querce, tutti i bambini sotto un'altra. Anche Sonia era lì perché era una giornata molto calda e le mucche non volevano stare sui pascoli, quindi i ragazzi le riportarono a casa. Natka era molto ospitale e premurosa e invitò entrambe le bambine nella sala da pranzo, le fece mettersi a tavola, le diede del pane, del latte freddo e mentre le bambine stavano mangiando arrivarono i lituani e i tedeshi. Tutti, tranne Sonia, avevano i documenti e quindi Sonia era spaventata. Riconobbe un ragazzo lituano che veniva al negozio dei suoi genitori a fare compere e che la teneva d'occhio. Non sappiamo se il ragazzo l'avesse riconosciuta. Sonia però si spaventò e quella sera venne da me Jadzia Pluchocianka perché, credo, quella notte Sonia avesse dormito da loro, e disse che Sonia supplicava di essere riportata dallo zio e che preferiva stare in quel rifugio interrato nei boschi che non in questa bella casa. Non c'era altro da fare, dovevamo riportare Sonia dallo zio. Riuscirono a sopravvivere e, quando arrivò l'esercito sovietico, poterano lasciare la foresta. Il Sig. Nitson mi scrisse un biglietto ringraziandomi e dicendo che suo fratello e Sonia erano vivi.
C'erano delle persone che durante quei tempi tedesco-lituani davano una mano. Se parlo male dei lituani è perché erano molto cattivi verso i polacchi, ma nel comune di Niemenczyn c'erano due persone molto valide. Era il sindaco Baučius, mandato dal profondo della Lituania, parlava il polacco, poco ma lo parlava. Il secondo era il sig. Žemaitis, che non c'entrava niente con il successivo ministro qui, che, tra l'altro, era sempre di origini lituane. Žemaitis aveva una grande fattoria ed era il vicesindaco. Anche il segretario del comune il sig. Jankowski - Henryk, credo - aiutava. La gente aveva qualche dubbio nei confronti di quel Jankowski, però non aveva mai fatto nessuna porcheria. A casa di Jankowski abitava un organista, era un musicista e successivamente professore qui, presso la nostra Accademia Musicale - si chiamava Witold Rudziński. La famiglia dei Rudziński abitava dal sig. Jankowski. Eravamo in contatto con i Rudziński, cioè io e la famiglia Świezewski andavamo da loro, tutti loro sapevano delle origini di Maryśka, e se ci fosse bisogno di qualche documento per Maryśka, anche tramite la chiesa, ce lo saremmo procurato tramite loro. Questi due signori sindaci per due o tre volte non fecero entrare a Orwidów la Gestapo. Quando la Gestapo veniva e iniziava a curiosare, il sig. Žemaitis andava nella sua fattoria a prendere della vodka fatta in casa, della carne, organizzava una grande festa e, nel frattempo, mi informava di tutto.
Aggiungo che, come dicevo prima, a Vilnius c'erano due preti: don Chlebowicz, che aveva rilasciato a Maryśka il certificato di nascita, e don Kretowicz, fratello del vecchietto Onufry Kretowicz che stava a Górny Orwidów e che a sua volta rilasciava dei certificati falsi. A Górny Orwidów c'era anche una signora che era scappata dal treno per Treblinka e che don Kretowicz aveva mandato dalla sua cognata per dare una mano nella fattoria. Si chiamava Helena Strumińska, spero di non avere sbagliato il cognome. Sentivo che c'era qualcosa di strano. La sig.ra Helena era un chirurgo, era figlia di un medico di Vilnius, ebrea. Cosa successe? Dunque, la sua storia era questa: era scappata da Varsavia insieme al marito, un medico anche lui. Vivevano a Vilnius, dai parenti di lei. All'inizio non c'era il ghetto, poi, quando venne creato il ghetto, i tedeschi vi portarono suo marito, Abraham Wajnryb, chiamato comunemente Stanisław, e suo padre, medico, di cui non ricordo il cognome. Staś e il padre di Helena furono portati in Estonia a lavorare nelle cave di pietra. Lì si trovavano gli scisti bituminosi e si trattava di un duro lavoro. Molta gente venne deportata lì per cercare questi scisti bituminosi. Helena era rimasta a casa con sua madre, che era malata di cancro. Quando i tedeschi stavano per raggiungere la loro abitazione, Helena fece a sua madre un'iniezione per anestetizzarla, perché sapeva che i tedeschi l'averebbero pichiata e uccisa nel letto, perché questi erano i loro metodi. Helena invece fu caricata sul treno. Era riuscita a strappare un'asse del pavimento, ad abbassarsi arrivando sui binari e a non farsi sparare, dato che alla fine del treno, in una casetta un po' più in alto, posta sull'ultima carrozza, c'era sempre un tedesco che doveva sparare in caso di fuga. Helena c'era riuscita, era rotolata dal terrapieno, aveva attraversato un campo di patate, aveva raggiunto Vilnius e don Kretowicz le aveva fornito i documenti. Tutti sapevano che faceva la domestica dai Kretowicz a Górny Orwidów. Poi, quando arrivò lì la famiglia Konarzewski, Helena venne a stare da me.
Non appena arrivò l'esercito sovietico, Helena partì subito per Vilnius e, come medico, venne mobilitata. Ma all'inizio a Vilnius c'erano ancora i tedeschi. Poi i russi occuparono la città e venne creata una lista per i polacchi che avrebbero accettato e voluto lavorare a Lublino negli uffici del Comitato Polacco di Liberazione Nazionale (PKWN). Io non mi ero iscritta in questa lista, mi avevano iscritta, non l'avevo fatto io. In questa lista c'ero io, gli Świezewski, Helena… Quando scendemmo dal camion che ci aveva portato dall'aeroporto di Lublino in città, raggiungemmo la via Spokojna, dove prima della guerra e anche in seguito si trovava l'edificio del voivodato, ma dove all'epoca c'era l'ufficio del PKWN. Ascoltate, mentre andavamo con quel camion dall'aeroporto verso Lublino, era incredibile vedere dappertutto le scritte in polacco, l'esercito con la divisa polacca - ancora adesso, quando ci penso, mi vengono i brividi lungo la schiena. Ci faceva un'impressione incredibile dopo tutta questa confusione, dopo la guerra. L'Insurrezione di Varsavia continuava, noi sapevamo dell'insurrezione, sapevamo tutto. Però qui c'erano le scritte in polacco, c'era l'esercito polacco.
Della mia persona si interessavano due uomini. Uno si occupava di affari economici, aveva un congnome strano - del resto era armeno e non russo -, Jekatow, era il marito di Muta Dziewicka. Mi propose di lavorare nell'ufficio economico nel PKWN. Subito dopo venne da me il professore di medicina forense Syngalewicz e mi chiese di lavorare con lui nella commissione di Majdanek. Accettai la sua proposta. Viaggiavamo, guardavamo e annotavamo tutte le cose che valeva la pena di annotare. Ad esempio camminavamo su un campo di cavoli, le teste non c'erano più, solo i fusti, la terra si piegava sotto i nostri piedi come un materasso e qualcosa scricchiolava. Erano le ossa umane, era quello che rimaneva nei forni crematori e che veniva versato lì e scavato insieme al terreno, dove poi vennero piantati i cavoli. Poi ci avvicinammo ai quei forni crematori. In alcuni c'erano dei resti umani, davanti ad altri c'erano i corpi pronti per essere messi dentro. Le persone giacevano in fia, un colpo nella nuca. I corpi erano marroni. Non avevano un aspetto orribile, erano marroni. L'odore era tremendo, era una giornata molto calda, era metà agosto del 1944. Avevamo sempre un foulard in testa per evitare che i capelli assorbissero quell'odore. Quando tornavamo da Majdanek a Lublino, appendevamo i nostri vestiti fuori sul balcone. C'erano giusto i balconi in quelle barracche in cui stavamo. Era un kolchoz. Uomini, donne - tutti dormivamo nelle stesse stanze. Dopo guardavamo i mucchi di scarpe tolte dalle persone destinate alla morte. Scarpe dei bambini, scarpe da uomo, da donna, dei vestiti, dovevamo annotare tutto. Poi smettemmo di andare a Majdanek e due o tre volte andammo in una foresta, di cui non ricordo il nome, dove vennero uccise delle persone. Venivano buttate in un grande fosso e sepolte così, com'erano cadute. Quando uno di questi fossi venne scavato, vedemmo una madre che giaceva tenendo il suo bambino, vedemmo anche una coppia, c'erano persone in tutte le posizioni Bisognava tirare fuori dai vestiti i loro documenti e cercare di identificarle.
Cosa accadde alle persone? Helena e suo marito Staś tornarono, il padre morì, il marito di Helena Snarska, chiamata Lusia Wajnryb, fu arruolato nell'esercito ma in seguito essi si trasferirono in Francia e poi in Australia. Dall'Australia mi scrivevano delle lettere ma Stefan perse il loro indirizzo. Allora scrissi a un giornale polacco, volevo scoprire come stavano. Subito dopo il loro arrivo in Australia ricevetti una lettera molto carina. Mi ricordo che Helena scrisse una cosa molto divertente: "con me funziona così: non appena un uomo mi guarda, che ho subito un bambino. Infatti ho tre figli maschi". Non so cosa gli fosse successo dopo, non riuscii più a mettermi in contatto con loro. Sonia, la ragazza che pascolava le mucche, e la sua famiglia si salvarono. Maryska è in Israele, mantengo dei contatti molto stretti con sua sorella minore Ruth Lewin. A volte ci telefoniamo, a volte scriviamo delle lettere, ma lei fa fatica a scrivere in polacco. La famiglia Minkowski morì, Natka morì di cancro, io e Stefan rimanemmo insieme, avevo le relative carte, non mi servivano per la mia felicità, ma era appropriato avercele. Stefan non è più in vita da tanto tempo. Chi altri? Gli altri si sono un po' dispersi, ma con la famiglia di Maryśka mantengo dei contatti davvero molto stretti, suo zio è stato qui a Varsavia, è sposato con una donna polacca.
Stefania Dąmbrowska (1916 - 2010)
Resistenza
1941 - 1945: Sankt-Peterburg (Città del Vaticano)
Hiding of jewish people
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