Per molti anni ho insegnato nelle scuole il disegno, ma adesso, nella vecchiaia, mi dedico totalmente alla mia vocazione primaria: la pittura. Ho 87 anni adesso. La mia generazione ha vissuto la Seconda guerra mondiale. Ha vissuto dei cambiamenti enormi durante la guerra e poi anche dopo. Devo dire che avevamo immaginato un mondo diverso dopo la guerra. Un mondo diverso rispetto a quello in cui stiamo vivendo invece. Ma bisogna adattare le proprie aspettative a quello che sta avvenendo nella società. All'epoca ero molto attiva a Lubiana e a Lubiana stavano succedendo molte cose. Le pareti erano ricoperte con le liste degli ostaggi e praticamente ogni giorno venivi a sapere di qualcosa di terribile. Era difficile dire quando ti saresti sentito dell'umore giusto per creare qualche grande opera d'arte. Tuttavia, io lo dovevo fare, giusto per restare una pittrice, di solito facendo delle cose simili a quelle del programma dell'Accademia di Zagabria – giusto per continuare. Fu dopo, quando mi unì ai partigiani, che riuscii finalmente ad utilizzare le mia capacità artistiche.
Ero terribilmente dispiaciuta del fatto che Lubiana fosse stata occupata. Credo che lo fosse la maggior parte degli abitanti. Lubiana era di fatto sul confine della zona di occupazione. Il nord di Lubiana era stato occupato dai tedeschi, e dal confine settentrionale della città verso il sud sud c'erano gli italiani... per non parlare del confine con l'odierna Ungheria. Gli ungheresi erano entrati a far parte dell'Asse Roma-Berlino e occuparono l'Oltremura (Prekmurje). Beh, ovviamente sapevo cosa ci aspettava. Sapevo che il fascismo italiano, esattamente come il nazismo tedesco, aveva nei suoi programmi praticamente la liquidazione degli sloveni. Per un po' non seppi nulla di nessun Fronte di Liberazione (OF), o forse avevo solo la sensazione che qualcosa si stava muovendo. Un giorno, all'inizio dell'autunno, andai al Castello di Lubiana e guardai verso il confine tedesco. Vidi delle enormi nubi di fumo alzarsi sopra il villaggio di Rasica. Il villaggio si trovava nella parte tedesca. Non so come la notizia fosse giunta a Lubiana. Ma tutti intorno a me già sapevano che Rasica stava bruciando. Che i tedeschi la stavano bruciando. L'avevano circondata e portato via tutta la popolazione maschile. In quel momento mi dissi che non potevo semplicemente non fare nulla. Non volevo sopravalutare le mie forze, dopo tutto ero giovane e non mi aspettavo di poter fare molto. Ma considerato quello che avevo letto da Tolstoy, sapevo che praticamente ogni azione storica è il risultato delle azioni di molte persone probabilmente insignificanti, le quali insieme raggiungono qualcosa di storicamente significativo. Quindi decisi che non potevo semplicemente starmene in disparte. Così andai dritta verso il telefono – non ce n'erano molti all'epoca, ma ne avevamo uno a casa – e chiamai le miei amiche, dalle quali avevo sentito delle cose. Avevo intuito che questo avesse a che fare con l'occupante. Dissi che volevo "entrarci", che anche io volevo fare qualsiasi cosa di cui loro erano a conoscenza. Il giorno dopo mi chiamarono al mio primo incontro.
Era un uomo importante, e in termini del suo orientamento politico nell'ex Jugoslavia, era un conservatore, appartenente al partito cattolico. Molti conservatori durante la Seconda guerra mondiale iniziarono a collaborare con l'occupante. Però mio padre non lo fece. Era uno sloveno con una coscienza nazionale e aveva anche combattuto per il generale Maister durante la Prima guerra mondiale. Tuttavia non approvava la mia decisione. Nel 1941 vennero a incontrarlo due persone. Più tardi scoprì che si trattava di due importanti organizzatori tra i partigiani. Ma non sapevo perché fossero venuti a trovarlo. All'epoca sembrava che fosse semplicemente diventato un pacifista. Aiutava chiunque si fosse trovato in difficoltà e fosse venuto da lui. Ma non si sforzava troppo. Non al punto che io potessi dire che fosse un attivista dell'OF. A casa non mi lasciavano lavorare per l'OF. Però decisi che dovevo proseguire in autonomia e secondo i miei propri valori.
Lubiana fu divisa in unità territoriali. Il livello più basso era rappresentato dal comitato locale dell'OF. Ero stata un membro del comitato locale per un po'. Il livello successivo era il comitato distrettuale dell'OF, che univa diverse unità locali. Io ero stata membro del comitato distrettuale. Il comitato regionale dell'OF rappresentava il livello più alto. Alla fine diventai un membro del comitato regionale dell'OF. Poco prima che uscisse il mio mandato di cattura, la polizia politica della Guardia Nazionale aveva arrestato mio padre. All'epoca in cui i tedeschi erano a Lubiana molte competenze erano lasciate alla Guardia Nazionale. Loro erano anche parte delle SS, cioè della polizia tedesca. Per cui anche loro giurarono fedeltà a Hitler e al Reich tedesco. Eseguirono molti arresti prima della fine della guerra. Fu così che la polizia politica della Guardia Nazionale venne a portare via mio padre. Solo molti anni dopo scoprimmo il perché. Negli archivi vennero ritrovati i mandati di arresto. Erano indirizzati al capo della polizia politica della Guardia Nazionale, Lovro Hacin. In seguito scoprii, sempre dai miei studenti, alcuni dei quali stavano dalla parte opposta, con la Guardia Nazionale... Uno dei miei studenti mi diede molte informazioni perché la sua famiglia era, ed è tuttora, in contatto con l'immigrazione della Guardia Nazionale. Attraverso questo studente venni a sapere dove era stato ucciso mio padre. Non solo tramite lui, ma anche direttamente durante il processo di Hacin. Ci fu un grande processo a Lubiana contro Rösener, il capo delle SS nella provincia di Lubiana. Contro Rupnik, che era stato il presidente della provincia di Lubiana nonché il capo militare della Guardia Nazionale. E contro Hacin, che era i capo della polizia politica della Guardia Nazionale. Fui informata dall'intelligence dell'OF già durante la guerra che Hacin era un nemico di mio padre. Dovevo dire a mio padre che l'OF poteva aiutarlo a mettersi in salvo. Andai da mio padre e glielo dissi. Mi disse che non aveva fatto niente e non sarebbe andato da nessuna parte. Era una questione di vita e di morte. Giravano delle false notizie maligne e provenivano proprio dall'ospedale in cui era il capo. Venivano dal livello più basso del personale, dagli addetti alle pulizie e dagli infermieri, dai lavoratori non qualificati. Ma né lui né io sapevamo che era una questione di vita o di morte. La stessa notte del suo arresto lo portarono a Rudnik. C'era un avamposto come quello di Sveti Urh. L'hanno ucciso lì a Rudnik.
Il mio ruolo nell'OF variava. Non si trattava solo di una rete segreta che si limitava a Lubiana. Attraversava tutta la Slovenia, sviluppandosi pian piano. Si sviluppò prima intorno a Lubiana, perché lì c'era la leadership e l'incontro fondativo ebbe luogo a Vecna pot a Lubiana. Poi si diffuse verso l'interno fino a Koroska e anche nella regione di Primorje. Quindi la Slovenia fu completamente coperta, anche se non subito. Io avevo ruoli diversi. All'inizio fui semplicemente integrata nel gruppo dell'OF degli studenti. Per un po' mi unì agli studenti della facoltà di giurisprudenza. Successivamente ero collegata con il comitato locale, perché a quel punto l'OF aveva sviluppato una rete organizzativa che copriva tutta la Slovenia. Non dimenticate che in quel momento Lubiana era chiusa da un recinto di filo spinato. Gli italiani circondarono l'intera città con il filo spinato. C'erano solo poche uscite dalla città. Queste erano severamente sorvegliate, potevamo uscire occasionalmente. Opponevamo resistenza in tanti modi. Prima di tutto, aiutando. Questo non avveniva pubblicamente. Raccoglievamo cibo, vestiti, pacchi per gli internati... L'Italia iniziò immediatamente a mandare le persone, che pensava potessero lavorare per l'OF, nei campi di internamento. I campi di internamento erano dei luoghi terribili. Non era, come disse Berlusconi, come fare una bella vacanza. Dopo l'internamento, bisognava prendersi cura delle famiglie degli internati e delle persone che si erano unite ai partigiani. E anche delle famiglie dei clandestini, che non ricevevano i buoni per le razioni. Per cui dovevamo raccogliere il necessario per la vita di tutti i giorni. Bisognava organizzare luoghi per le riunioni, nelle case, in cui le persone fossero disposte a rischiare e far entrare la gente per le riunioni dell'OF. Noi partecipanti a questi incontri non ci conoscevamo, ma avevamo dei messaggi in codice. Si arrivava con una parola in codice, ci si presentava al proprietario dell'appartamento. Poi questo rispondeva con una parola in codice. In questo modo sapevamo di poterci fidare l'uno dell'altro. Avevamo persino anche dei nomi in codice. Pubblicamente ci esprimevamo con azioni di scrittura per infondere coraggio alla popolazione della città e della Slovenia. Scrivevamo messaggi in codice sui muri a favore dell'OF. Ne inondavamo la città. A volte era completamente disseminata di carte a favore dell'OF. Una volta, due di noi, entrambi membri del comitato distrettuale dell'OF a Siska – Vida Janezic, la quale oggi è dichiarata un'eroina nazionale, ed io – con un secchio, versammo del grasso per assali lungo la via Celovska e appiccicammo delle scritte dell'OF. Un'altra volta scrivemmo per tutta la via Celovska, di fronte alla birreria Union. Ma la mattina dopo nevicò e non rimase nulla delle nostre scritte. Un'altra cosa molto importante: manifestazioni. Non so se altri popolii dell'Europa occupata abbiano organizzato manifestazioni, o se ne abbiano organizzate tante come a Lubiana. Dapprima si trattava di manifestazioni delle donne, che chiedevano il rilascio degli uomini dai campi di internamento. Queste manifestazioni si svolgevano davanti alla stazione ferroviaria, e poi davanti ai vertici militari e amministrativi dell'occupante. Infine, anche davanti alla diocesi di Lubiana. Ero presente a tutte queste manifestazioni. Altre si tennero qui al cimitero, vicino alle tombe degli ostaggi. Furono gli occupanti italiani ad abbattere ogni mossa dell'OF. Spararono a tanti ostaggi innocenti. Oggi questo è ancora un piccolo cimitero di coloro che caddero in ostaggio. La manifestazione più grande ebbe luogo alla resa, alla caduta del fascismo, non ancora alla resa dell'Italia. In quel momento l'Italia occupante si sentiva più debole e potevamo permetterci di organizzare una grande manifestazione in via Miklosiceva. Vi parteciparono sia uomini che donne. Via Miklosiceva era piena di manifestanti. Notai come i veicoli militari degli occupanti andavano su e giù per la strada e come i soldati erano seduti e come alcuni di loro sembravano favorevoli a noi. Alcuni sorridevano o salutavano. Poco dopo, l'Italia si arrese.
Mi sentivo malissimo per il fatto che Lubiana fosse racchiusa da un filo spinato, perché sono estremamente legata alla natura. Soprattutto ora che ho capito chi sono come pittrice. Sono soprattutto una paesaggista, perché è il mio mondo. Prima della guerra, uscivo da Lubiana in bicicletta per trovare un soggetto per disegnare e dipingere. All'improvviso non mi era permesso lasciare Lubiana. All'inizio ricevevamo una sorta di "lascia passare", una sorta di documento di autorizzazione, se non si era malvisti dalla polizia di occupazione. In seguito l'abolirono. Quindi, finché avevo ancora il lascia passare, andavo in bicicletta fino alla periferia di Lubiana. Poi proibirono le biciclette e non potei più andare da nessuna parte. Per trovare una via di ritorno nella natura, trasformai la mia bicicletta in un "triciclo". Presi una ruota dalla bicicletta di mia sorella e la feci attaccare da un collega alla mia bici. Così potei uscire di nuovo con il mio triciclo. Andai alla Palude di Lubiana ecc. Al ritorno in città le guardie mi fermarono, mi ispezionarono e scoprrono che tutto ciò che avevo erano fiori, per cui mi fecero passare. Ma quando raggiunsi l'odierna via Presernova e passai davanti alla polizia italiana, qualcuno iniziò a gridare che dovevo essere fermata. Poi i cosiddetti 'questori' mi arrestarono, confiscarono il mio triciclo e mi portarono alla polizia. Che ci facevo? Gli dissi che ero uscita in campagna. Poi mi misero in un'auto della polizia, con un poliziotto per ogni lato. Mi vergoganvo di essere accompagnata a casa in tale compagnia. Mi accompagnarono a casa perché avevo ammesso dove vivevo. Mio padre aprì la porta e gli chiesero se ero davvero sua figlia. Lui confermò. "Abita qui?" - "Abita qui". Poi se ne andarono e il giorno dopo riebbi il mio triciclo. Ma non mi fu più permesso guidarlo perché dopo la mia piccola avventura, anche i tricicli furono vietati.
Non appena mio padre fu portato via, cominciai a dormire altrove. Finché c'era la mia famiglia, non mi avrebbero lasciato andare in clandestinità perché questo avrebbe potuto causare ripercussioni per loro. Avrebbero potuto portarli in un campo di internamento, ecc. Ma quando portarono via mio padre, e poi 14 giorni dopo sfrattarono dall'appartamento mia madre sapevo di non poter più stare in un appartamento legale. Mi trasferii immediatamente a casa di una collega, Erni Korijari. Era un membro dell'OF e lavorava agli arredi scenici presso il Teatro del Dramma di Ljubiana. Mi portò a nascondermi a casa sua. Pochi giorni dopo il mio trasferimento, la Gestapo fece visita a mia madre, lei non aveva più un appartamento suo ma stava a casa della sorella. Volevano sapere dove fossi. Mia madre non lo sapeva. Ma mi comunicò che la Gestapo era venuta a cercarmi. Trasmisi il messaggio ai miei superiori nella rete dell'OF. Da quel momento in poi si presero cura di me. A Lubiana si faceva così: Ogni edificio aveva un elenco di tutte le persone che vi alloggiavano. Ogni tanto c'erano delle irruzioni. Se durante queste irruzioni veniva trovato qualcuno non presente nell'elenco, veniva portato via lui e coloro che lo nascondevano. Quelle persone si assumevano dei rischi, accettavano consapevolmente nella loro casa questa persona e in parte condividevano anche il proprio cibo. I buoni alimentari contraffatti (tutti avevano buoni alimentari), fatti per i clandestini, arrivavano sempre con un grande ritardo, spesso quando non era più permesso stare lì. Come clandestini dovevamo stare con persone che non sapevano nemmeno chi fossimo. Si fidavano di noi solo perché avevamo bisogno di aiuto, sulla base della parola in codice. Potevo entrare ovunque con la parola in codice, il proprietario rispondeva con una parola in codice e a quel punto potevo rimanere lì. Dovetti cambiare casa diverse volte perché starnutivo nella stanza in cui mi nascondevo. Qualcuno all'esterno lo sentiva e commentava che doveva esserci qualcuno in casa. Poi dovevo partire il giorno o la notte successiva. Ero ospite di sconosciuti quando, dopo quattro mesi passati a nascondermi di casa in casa, un pomeriggio la mia amica Neda Grzinic venne finalmente a trovarmi. Mi disse che un corriere dell'OF mi avrebbe portato un passaporto falso quella sera stessa e che la mattina dopo sarei partita per unirmi ai partigiani.
Ebbi la fortuna perché fui indirizzata verso i partigiani. Quella sera un corriere mi portò il passaporto, falso e con un nome inventato. Andai alla stazione ferroviaria e presi un treno per Primorje. L'ultima chiamata fu in un posto chiamato Kosana, dove andavano tutti i clandestini di Lubiana. Di nuovo dovevamo conoscere la parola in codice. Il padrone di casa era l'albergatore del Dolgan Inn. Mi rivolsi a lui per dire la parola in codice: "Matija mi manda da Lubiana". Lui rispose: "Vremscica". All'epoca non sapevo cosa fosse il Vremscica (il monte Auremiano). Dopo la II Guerra mondiale diventai una scalatrice e lo scalai molte volte. È una montagna bellissima con una vista stupenda. Mi unii ai partigiani relativamente tardi. Ero rimasta nascosta a Lubiana per quattro mesi. Partii nel luglio del 1944. Ne seguì un viaggio molto lungo naturalmente. La nostra destinazione finale era il villaggio di Obcice pod Kolevskim Rogom. Sapete cosa? È stato tutto indimenticabilmente bello, semplicemente il mio lasciare Lubiana e andare nella terra liberata. Fu incredibile per me trovarmi improvvisamente circondata dalla natura dopo quattro mesi passati a nascondermi negli scantinati. Il viaggio attraverso la valle del Kolpa è stato estremamente bello: prima Cebranke e poi Kolpa. A quel punto lasciammo il territorio liberato e ci dirigemmo nella valle di Loska verso la Carniola Bianca. Inoltre, potei finalmente lavorare su un'opera d'arte. Ero anche perfettamente disposta a unirmi alla brigata. Anche se non so come sarebbe andata a finire, vista la mia sensibilità al fragore delle esplosioni. Probabilmente per niente bene. Ma a quel punto non accettavano più donne nella brigata. In primo luogo, il mio ruolo era quello di costruire la scenografia del teatro. Ma non c'era abbastanza da fare, perché non c'erano molti spettacoli. Così proposi che mi chiamassero, su richiesta. Lo fecero, quando stavano preparando il primo spettacolo di Raztrganci di Matej Bor. Andai in Carniola Bianca per circa due settimane per preparare la scenografia. Utilizzai vecchie scenografie del Sokolski Dom di Crnomelj. Mi aiutò un imbianchino di Crnomelj e insieme riuscimmo a ridipingere tutto e a preparare tutto.
C'erano molti, molti operatori culturali con i partigiani. E la mia umile persona era tra loro. Il teatro era relativamente ben rappresentato e si tenevano molti spettacoli. Per uno spettacolo, Raztrganci di Bor, contribuii alla scenografia. Una delle particolarità più importanti del "Centro tecnico" (dell'Officina del Partito Comunista Sloveno) era la tipografia partigiana. Le tipografie partigiane erano nascoste sulle colline di Kocevski Rog e Goteniski Sneznik. Stampavano giornali partigiani, opuscoli e persino raccolte di poesie e libri di canzoni.
Più tardi, Vito, un partigiano non ancora ventiseienne, venne al Centro tecnico. Vito era un pittore di grande talento, nonostante non avesse studiato. Dopo la guerra voleva diventare un pittore professionista. Vito arrivò al Centro Tecnico dopo di me. Prima, però, aveva trascorso un lungo periodo in un campo di internamento italiano. A causa delle lunghe e dure condizioni di lavoro, soffrì di una grave forma di reumatismo articolare. Non era tornato a casa quando l'Italia si era arresa, perché sarebbe stato ancora troppo pericoloso. Invece andò direttamente dai partigiani, e nel cuore dell'inverno si unì alla marcia della brigata Ljubiana e della 18ª Divisione verso il Gorski Kotar. Fu un inverno terribilmente freddo e i suoi reumatismi peggiorarono. All'epoca non esistevano antibiotici o altri farmaci di questo tipo. Dormiva con la febbre alta, sdraiato sui rami in mezzo alla neve. La febbre causata dall'infezione aveva colpito le valvole cardiache. Nessuno di noi, compreso lui, sapeva che era gravemente malato quando era arrivato al Centro tecnico. Quando ci ritirammo dalla Carniola Bianca, soffriva di angina. Una volta ci ritirammo dalla Carniola Bianca e andammo verso il Gorski Kotar, (l'intera milizia attiva si dirigeva verso Trieste), noi, le unità di riserva, la seguivamo. Ebbe il primo infarto a Gorski Kotar, ma si riprese. Arrivammo a Lubiana con l'impressione che la guerra stesse finendo; la fine delle malattie, la fine di tutte le cose brutte. Solo un anno e tre mesi dopo morì per un'infezione alla valvola cardiaca, una condanna a morte a quel tempo.
Alenka Gerlovic (1919 - 2010)
Resistenza
1944 - 1945: Ljubljana (Slovenia)
Partisan, Unarmed Resistance
gruppi di resistenza
Liberation Front
Download transcript (PDF format)
English translation
Original interview language (Slovenian)